Si sta avvicinando l'anniversaro dell'invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia. Sono passati quarant'anni. Oggi non esiste più l'Unione Sovietica e nemmeno la Cecoslovacchia. Debbiamo però ricordare ai giovani una delle pagine più tristi della storia europea. Lo faccio con un capitolo del mio ultimo libro "Caduti Dal Muro"
PRAGA
L’idea di tornare a Praga mi è nata un pomeriggio piovoso mentre rientravo in albergo a Berlino.
Ho preso il treno notturno per il sud e con un solo cambio a Norimberga, mi sono ritrovato all’alba nella stazione centrale di Praga.
La città è vuota e silenziosa e le strade sono quasi deserte a quest’ora. Un velo sottile di nebbia si attarda ancora sui tetti bagnati dalla brina.
Per arrivare a Piazza Venceslao devo attraversare i binari della tranvia proprio accanto alla stazione. E’ un posto che mi piace.
Mi piace guardare i tram che partono per le prime corse della mattina.
Scelgo di andare a piedi e da lontano già intravedo le guglie e le cupole dorate di Mala Strana, passo accanto alla Sinagoga e al vecchio cimitero ebraico dove è sepolto Franz Kafka e da li mi incammino lungo la strada che porta alla piazza .
Per la prima volta, dopo tanti anni, mi ritrovo al vecchio Hotel Europa. Mi emoziona vederlo di nuovo.
L’evidente restauro non ha rovinato gli antichi stucchi ricamati sui muri e pure gli specchi, scrostati e appannati, sono sempre gli stessi. Anche le intriganti sculture di bronzo continuano ad ammiccarti dagli angoli del salone. La luce proietta sul pavimento i contorni dei campanili gotici e delle guglie di Mala Strana disegnate sulle vetrate colorate del soffitto.
“Avete una camera con le finestre che danno sulla piazza”? Chiedo all’impiegata della reception.
La mia richiesta deve sembrare strana e la mia voce incrinata dall’emozione se la donna, al di là del bancone, mi rivolge uno sguardo dolce e incuriosito. Abbiamo il tempo e la voglia di parlare.
Si chiama Anna.
Aveva solo 17 anni e studiava lingue, quando suo padre gli disse che avrebbe dovuto guadagnare qualcosa per la famiglia.
Si presentò al comitato politico per l’occupazione giovanile e fu assegnata al ricevimento degli stranieri presso l’Hotel Europa.
Proveniente da Tabor, nella Boemia del nord, era arrivata lì circa quarant’anni prima. Da allora non aveva più lasciato l’albergo.
E’ ancora bella e ha un’aria a me familiare, mi lascio andare al pensiero che sia lei, quella ragazzina bionda che, trentasette anni prima, mi accolse sorridendo sulla porta girevole che dalla strada ti aiuta ad entrare nel salone della ricezione.
Sono tornato a quei giorni.
Il viaggio nell’anima e nella memoria continua qui.
Le truppe del Patto di Varsavia entrarono in Cecoslovacchia nella notte tra il 20 e il 21 Agosto del 1968.
Ricordo tutto di quella notte.
Sono passati quasi quarant’anni ma le immagini che mi tornano alla mente sono nitide e si affollano inattese e prepotenti nella mia memoria.
Mi svegliarono le esplosioni che provenivano da un punto non lontano e il rombo dei tanks russi.
Le finestre della mia camera davano proprio sui viali di Piazza San Venceslao.
Le cose che vidi si resero indimenticabili.
La piazza era invasa dai carri armati, gli spari, sordi e fumanti, tutti in direzione del Museo Nazionale dove gruppi di giovani tentavano una coraggiosa, quanto inutile, resistenza.
Ero tornato a Praga, dopo essermi sposato, per rivedere e abbracciare i miei amici della federazione giovanile comunista praghese conosciuti, due anni prima, al festival internazionale di Helsinki.
Tutto sembrava tranquillo in quei caldi giorni d’estate, la città era piena di turisti, i praghesi rientravano dalle ferie dai monti Tatra o dai laghi della Boemia.
Le strade brulicavano di gente e nei parchi i vecchi preoccupati guardavano i bambini giocare.
La “primavera di Praga,” quella politica, era iniziata presto quell’anno.
Alexander Dubcek, il giovane segretario del Partito Comunista, aveva in pochi mesi scaldato il cuore del suo paese e riacceso le speranze di milioni di comunisti in Europa e nel mondo.
La posta in gioco era alta: tenere insieme democrazia e socialismo.
Far vivere proprio in un paese comunista, una nuova idea di libertà e di giustizia. Una nuova rivoluzione, insomma, che abbandonasse il regime imposto dall’Unione Sovietica e spingesse la storia a riappropiarsi di una grande idea di cambiamento, tradita e calpestata, proprio lì e in tanta parte del mondo.
Tutto fu inutile
I colpi mi svegliarono... Il balzo verso la finestra, il tempo di vestirmi e giù per le scale con la voglia di uscire nella piazza.
Il dolore, la rabbia, vedere, vivere la ...storia! Forse volevo persino protestare, ribellarmi, indignarmi anch’io come la gente di Praga che, sbigottita e umiliata, uscendo dalle case, correva incontro a San Venceslao.
Tutto fu inutile.
La porta era sbarrata da due ragazzi in divisa. La piazza non era permessa.
La mia libertà non era permessa. Improvvisamente ho conosciuto la coercizione su di me.
Insopportabile.
Anche la mia volontà stritolata dai cingoli, impossibilitata a rialzarsi, frantumata e umiliata.
Umiliata da un giovane ufficiale dell’armata rossa che, gentilissimo e raffinato nei modi, continua a ripetere la stessa cosa : “ ... tranquilli è una normale operazione militare siamo stati chiamati per ristabilire l’ordine.” Fa quindi accomodare tutti gli stranieri con il loro passaporto, nella sala del vecchio Caffè Europa.
In quella sala, ad un piccolo tavolo di marmo verde si sedeva spesso Franz Kafka e forse ha scritto qui, mentre dalla vetrata guardava la piazza animarsi, alcune pagine dei suoi racconti.
Mi viene in mente la Metamorfosi : “ Nel destarsi, un mattino, da sogni inquieti, Gregori Samsa si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto.”
Strano destino questo della sua città che una mattina si sveglia popolata da giganteschi insetti di acciaio che sputano saliva di fuoco.
La storia fini con un foglio di via obbligatorio. Devo lasciare la Cecoslovacchia entro ventiquattro ore se voglio riprendermi, oltre la frontiera tedesca, la mia libertà.
Cosi ricordo quei giorni dell’Agosto del 1968.
Ritorno al presente con Anna che mi racconta dei giorni e degli anni che seguirono.
Non ci furono scontri cruenti e significativi, i morti furono circa trenta e qualche centinaio di feriti.
Dubcek fu arrestato e portato a Mosca. Mezzo milione di comunisti furono espulsi dal partito e privati del loro lavoro.
Gli esponenti della Primavera di Praga, politici, giornalisti e intellettuali diventarono operai, camerieri e muratori.
Dubcek fin, poi, a lavorare come manovale in una azienda forestale vicino a Bratislava.
La sera del 16 gennaio 1969 un giovane studente, esile e biondo, si avvicinò al monumento del Re Santo.
Teneva nascosta nel cappotto una tanica di benzina che si versò addosso. Si chiamava Jan Palach
Il fuoco si portò via la sua vita e accese una speranza che durò vent’anni fino a che il muro di Berlino, crollando, non fece rotolare i suoi calcinacci fino a Praga.
L’idea di tornare a Praga mi è nata un pomeriggio piovoso mentre rientravo in albergo a Berlino.
Ho preso il treno notturno per il sud e con un solo cambio a Norimberga, mi sono ritrovato all’alba nella stazione centrale di Praga.
La città è vuota e silenziosa e le strade sono quasi deserte a quest’ora. Un velo sottile di nebbia si attarda ancora sui tetti bagnati dalla brina.
Per arrivare a Piazza Venceslao devo attraversare i binari della tranvia proprio accanto alla stazione. E’ un posto che mi piace.
Mi piace guardare i tram che partono per le prime corse della mattina.
Scelgo di andare a piedi e da lontano già intravedo le guglie e le cupole dorate di Mala Strana, passo accanto alla Sinagoga e al vecchio cimitero ebraico dove è sepolto Franz Kafka e da li mi incammino lungo la strada che porta alla piazza .
Per la prima volta, dopo tanti anni, mi ritrovo al vecchio Hotel Europa. Mi emoziona vederlo di nuovo.
L’evidente restauro non ha rovinato gli antichi stucchi ricamati sui muri e pure gli specchi, scrostati e appannati, sono sempre gli stessi. Anche le intriganti sculture di bronzo continuano ad ammiccarti dagli angoli del salone. La luce proietta sul pavimento i contorni dei campanili gotici e delle guglie di Mala Strana disegnate sulle vetrate colorate del soffitto.
“Avete una camera con le finestre che danno sulla piazza”? Chiedo all’impiegata della reception.
La mia richiesta deve sembrare strana e la mia voce incrinata dall’emozione se la donna, al di là del bancone, mi rivolge uno sguardo dolce e incuriosito. Abbiamo il tempo e la voglia di parlare.
Si chiama Anna.
Aveva solo 17 anni e studiava lingue, quando suo padre gli disse che avrebbe dovuto guadagnare qualcosa per la famiglia.
Si presentò al comitato politico per l’occupazione giovanile e fu assegnata al ricevimento degli stranieri presso l’Hotel Europa.
Proveniente da Tabor, nella Boemia del nord, era arrivata lì circa quarant’anni prima. Da allora non aveva più lasciato l’albergo.
E’ ancora bella e ha un’aria a me familiare, mi lascio andare al pensiero che sia lei, quella ragazzina bionda che, trentasette anni prima, mi accolse sorridendo sulla porta girevole che dalla strada ti aiuta ad entrare nel salone della ricezione.
Sono tornato a quei giorni.
Il viaggio nell’anima e nella memoria continua qui.
Le truppe del Patto di Varsavia entrarono in Cecoslovacchia nella notte tra il 20 e il 21 Agosto del 1968.
Ricordo tutto di quella notte.
Sono passati quasi quarant’anni ma le immagini che mi tornano alla mente sono nitide e si affollano inattese e prepotenti nella mia memoria.
Mi svegliarono le esplosioni che provenivano da un punto non lontano e il rombo dei tanks russi.
Le finestre della mia camera davano proprio sui viali di Piazza San Venceslao.
Le cose che vidi si resero indimenticabili.
La piazza era invasa dai carri armati, gli spari, sordi e fumanti, tutti in direzione del Museo Nazionale dove gruppi di giovani tentavano una coraggiosa, quanto inutile, resistenza.
Ero tornato a Praga, dopo essermi sposato, per rivedere e abbracciare i miei amici della federazione giovanile comunista praghese conosciuti, due anni prima, al festival internazionale di Helsinki.
Tutto sembrava tranquillo in quei caldi giorni d’estate, la città era piena di turisti, i praghesi rientravano dalle ferie dai monti Tatra o dai laghi della Boemia.
Le strade brulicavano di gente e nei parchi i vecchi preoccupati guardavano i bambini giocare.
La “primavera di Praga,” quella politica, era iniziata presto quell’anno.
Alexander Dubcek, il giovane segretario del Partito Comunista, aveva in pochi mesi scaldato il cuore del suo paese e riacceso le speranze di milioni di comunisti in Europa e nel mondo.
La posta in gioco era alta: tenere insieme democrazia e socialismo.
Far vivere proprio in un paese comunista, una nuova idea di libertà e di giustizia. Una nuova rivoluzione, insomma, che abbandonasse il regime imposto dall’Unione Sovietica e spingesse la storia a riappropiarsi di una grande idea di cambiamento, tradita e calpestata, proprio lì e in tanta parte del mondo.
Tutto fu inutile
I colpi mi svegliarono... Il balzo verso la finestra, il tempo di vestirmi e giù per le scale con la voglia di uscire nella piazza.
Il dolore, la rabbia, vedere, vivere la ...storia! Forse volevo persino protestare, ribellarmi, indignarmi anch’io come la gente di Praga che, sbigottita e umiliata, uscendo dalle case, correva incontro a San Venceslao.
Tutto fu inutile.
La porta era sbarrata da due ragazzi in divisa. La piazza non era permessa.
La mia libertà non era permessa. Improvvisamente ho conosciuto la coercizione su di me.
Insopportabile.
Anche la mia volontà stritolata dai cingoli, impossibilitata a rialzarsi, frantumata e umiliata.
Umiliata da un giovane ufficiale dell’armata rossa che, gentilissimo e raffinato nei modi, continua a ripetere la stessa cosa : “ ... tranquilli è una normale operazione militare siamo stati chiamati per ristabilire l’ordine.” Fa quindi accomodare tutti gli stranieri con il loro passaporto, nella sala del vecchio Caffè Europa.
In quella sala, ad un piccolo tavolo di marmo verde si sedeva spesso Franz Kafka e forse ha scritto qui, mentre dalla vetrata guardava la piazza animarsi, alcune pagine dei suoi racconti.
Mi viene in mente la Metamorfosi : “ Nel destarsi, un mattino, da sogni inquieti, Gregori Samsa si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto.”
Strano destino questo della sua città che una mattina si sveglia popolata da giganteschi insetti di acciaio che sputano saliva di fuoco.
La storia fini con un foglio di via obbligatorio. Devo lasciare la Cecoslovacchia entro ventiquattro ore se voglio riprendermi, oltre la frontiera tedesca, la mia libertà.
Cosi ricordo quei giorni dell’Agosto del 1968.
Ritorno al presente con Anna che mi racconta dei giorni e degli anni che seguirono.
Non ci furono scontri cruenti e significativi, i morti furono circa trenta e qualche centinaio di feriti.
Dubcek fu arrestato e portato a Mosca. Mezzo milione di comunisti furono espulsi dal partito e privati del loro lavoro.
Gli esponenti della Primavera di Praga, politici, giornalisti e intellettuali diventarono operai, camerieri e muratori.
Dubcek fin, poi, a lavorare come manovale in una azienda forestale vicino a Bratislava.
La sera del 16 gennaio 1969 un giovane studente, esile e biondo, si avvicinò al monumento del Re Santo.
Teneva nascosta nel cappotto una tanica di benzina che si versò addosso. Si chiamava Jan Palach
Il fuoco si portò via la sua vita e accese una speranza che durò vent’anni fino a che il muro di Berlino, crollando, non fece rotolare i suoi calcinacci fino a Praga.
Caro tito, dovrei conoscere bene queste pagine di Caduti dal muro, ma ogni volta che le rileggo mi emoziono, a presto paolo
RispondiEliminaCiao,
RispondiEliminadopo la lettura dei questi testi meravigliosi, è inevitabile dire che voi ha una forma degli argomenti d'avvicinamento di scrittura ispirata ed assolutamente brillante di interesse grande.
Sono del Portogallo e sto provando ad imparare il di lingua italiana da me e leggere questi testi senza avere bisogno di alcun aiuto è, senza dubbio, uno dei miei obiettivi grandi.
Sono spiacente per alcuni errori ma, una nuova volta, il mio italiano è limitato.
Complimenti
Sara