Questa mattina a Firenze ho firmato il contratto con il mio editore per la pubblicazione del mio nuovo libro. Penso che uscirà a Settembre con uno strano titolo: Le Rughe di Cortona.
Rughe della città, quindi, rughe come quelle che solcano il volto di un anziano. Segno corporeo, fisico. E non solo, perché sono anche impronta immateriale del tempo trascorso.
Ho cominciato a scrivere questo libro alla fine del 2011 mentre mi trovavo presso la pensioncina della signora Magaldi a Punta Arenas, nella punta estrema del Cile. Dopo aver scritto le prime pagine, ho lasciato la Patagonia per rientrare in Italia. E nei giorni seguenti sono tornato a Cortona. Ho vagato per la città, giorno dopo giorno, per lungo tempo. La maggior parte di questo libro è stata scritta al rientro da quelle camminate. Partivo, di solito, dall’alto della collina e scendevo a valle percorrendo i vicoli stretti e varcavo gli accessi della città attraverso le antiche porte.
E’ indubbio, tra i cosiddetti centri storici minori della Toscana che sono meta di intenso turismo, Cortona, è una delle più visitate in Italia. In effetti, il complesso formato dai casamenti, chiese, torri civiche e borghi medievali disposti con sapienza logica sul manto verde di un bosco di olivi secolari e delimitato dalle mura di origine etrusca, offre una compiutezza urbanistica e paesaggistica che ben merita la reputazione che si è conquistata.
Ma la fretta dei nostri tempi obbliga spesso il viaggiatore a visite sbrigative di poche ore per essere poi inghiottito da altre mete. Eppure anche il viaggiatore senza tempo può permettersi una piccola deviazione dal suo percorso.
Il libro, nelle mie intenzioni, accompagna il lettore in questa deviazione spingendolo su altre vie e itinerari, inaspettati.
Il libro non è un saggio su Cortona e tantomeno una guida. Direi piuttosto una strana mescolanza tra un diario intimo, riflessione esistenziale e opuscolo di viaggio. Ci sono le cose lontane e quelle vicine. I ricordi infantili si affollano e quelli degli anni recenti si allontanano come in un binocolo rovesciato. Memorie minime di un viaggiatore che si ritrova a passare per casa.
Tornare sui propri passi, rifare il cammino all'incontrario, ricominciare da capo per rivivere qualcosa che si è già vissuto o dargli una via d'uscita.
Infine, questo per me è un libro molto personale, una scappatoia per riordinare nell’immaginazione i tasselli che non sono riusciti a incastrarsi nella realtà. Infine un libro che parla del senso vero della città. Una città aperta e fatta di gente di tutti i paesi.
Buffo che camminare per queste strade possa spacciarsi ancora per cosa nuova.
Il mio sguardo coglie forme e colori, angoli e spazi, che mi sono noti. Però dentro cresce la stessa sensazione che si può avvertire la mattina che si parte per una bella camminata, in una giornata di sole, incantati dalla trasparenza del cielo.
E allora non so come dirlo, ma questo assomiglia molto a un gioco a nascondino con la nostalgia.
La nostalgia che si risveglia con i ricordi. È sempre così, in viaggio, prima o poi la nostalgia fa capolino.Come ora, che mi prende e trascina i miei pensieri dentro un territorio sconosciuto. Si presenta come un ricordo smarrito, come qualcosa che ho lasciato chissà dove.
Qualcosa accaduto in altre età, che non riesco a mettere a fuoco, perché non è facile riavvolgere il nastro del mio passato. La nostalgia vuol dire assenza?
Credo di sì, ma poi anche la nostalgia scivola via.Così mi consegno alla città con tutto il mio stupore. E lo so che è strano, questo viaggio, che non ha nemmeno tappe, che non riesce a ordinarsi nemmeno secondo una sua cronologia, anzi, che si alimenta proprio della confusione di tempi e di luoghi.
Non ce la faccio, a dare un ordine, nemmeno se vado a rivedermi gli appunti che via via ho scritto.I ricordi sono come questi passi, che si accontentano di essere passi, senza pretendere di arrivare da alcuna parte. Passi che semplicemente si affidano a questa mia città, senza puntare una porta amica o un bar per il caffè.Antonio Tabucchi diceva spesso che c’è sempre un luogo ad aspettarci. E quando l'attesa si consuma, c'è solo da abbandonarsi a quel luogo, senza troppi ragionamenti. Solo respirare, solo camminare, solo sentirsi parte di qualcosa di più grande.
C'è anche inquietudine, in questi passi e in queste pagine.Nemmeno mi dispiace: in fondo può far bene, l'inquietudine. Stimola al passo successivo, fa sì che una buona volta si spalanchi la porta che non si è mai voluto aprire.Il viaggio, l'ho detto altre volte, è anche ritorno. Però ritornare non significa essere di nuovo ciò che eravamo, prima del primo passo.Sarebbe come dire che Cortona è una sorta di resa, il riposo dopo tanta frenesia, magari l'abbandono a una vita di provincia, dai ritmi più ragionevoli, anche se ha ben poco a che vedere con la provincia velleitaria e insoddisfatta di felliniana memoria. E invece no, e meno male che c'è l'inquietudine, questo sentimento che gonfia la vela, anche quando la prua è indirizzata verso casa.
Qualcuno ha detto che il viaggio è il prologo del cambiamento. Riporta verso casa perché a casa si sia diversi da ciò che eravamo.
È scompiglio, è turbamento, il viaggio.Io nel viaggio ho sempre un vuoto da riempire. Qualcosa che inseguo con la mia voglia di non rimanere come sono, di muovermi con lentezza, di attraversare piuttosto che bruciare chilometri, di incontrare piuttosto che di lasciarmi alle spalle, di ascoltare e guardare e interrogare, senza mai stancarmi di capire tutto ciò che è diverso.
E nostalgia sì, ma malinconia no. La malinconia non permetterò che prenda il sopravvento. Perché quando la malinconia si predispone a restarti accanto, si porta dietro altri compagni di viaggio. Porta a una difficoltà nel respiro, a una mancanza d’aria.Meno male che curarsi è facilissimo.C'è sempre un altro viaggio. C'è sempre un altro ritorno.E i narratori di viaggi sono come i marinai di una volta. Girano il mondo ma poi, quando viene il momento, tornano a casa. E allora trattengono le parole, per continuare a viaggiare.
Complimenti, sempre più interessante.
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