EL TANGO
Succedono tante cose strane, irrilevanti o importanti, diversissime tra loro. Ma in qualsiasi parte del mondo hanno spesso un nesso che le lega l’una all’altra. In fondo è questa la vera globalizzazione: non solo prodotti o crediti che transitano indifferentemente da un continente all'altro, ma anche reti di rapporti di causa ed effetto, valanghe di circostanze, combinazioni, vicende solo apparentemente inspiegabili. Questo pianeta ci fa respirare sempre aria di casa, anche nelle sue lontananze.
Accade cosi che viaggiando nella profonda Argentina mi capiti di leggere, aprendo la pagina internet di Repubblica, le dichiarazioni che il ministro Tremonti ha rilasciato sulla crisi italiana. Intervenendo alla trasmissione di Bruno Vespa il nostro ministro dell’economia ha smentito il suo collega Sacconi, assicurando che l’Italia non corre il rischio di finire come l’Argentina.
Credo che il ministro si riferisse alla crisi dei titoli argentini che accompagnarono la gravissima deriva economica di questo paese nel 2002, tanto è vero che consiglia di comprare i titoli di stato italiani, considerati i più sicuri del mondo.
Ovviamente su tutto questo ci sarebbe di che discutere. Altrove ho letto che i nostri Bot non sono più come un tempo, quando erano il rifugio del piccolo risparmiatore italiano. Oggi sono per la maggior parte in mano a grandi investitori esteri, che potrebbero anche decidere da un momento all'altro di vendere i loro titoli, e allora chissà come andrebbe a finire, con la nostra povera Italia. Solo per fare un esempio.
Ma non è questo che voglio dire. Tanto non sono un esperto.
La cosa che in realtà mi è venuta in mente è questa: è singolare che i nostri uomini di governo quando parlano dell’Argentina lo facciano sempre citandola come esempio negativo.
Ho letto che anche Berlusconi, nei giorni scorsi, ha accusato l’opposizione di paragonarlo a una sorta, parole testuali, di “presidente argentino”.
E' un raffronto non generoso, con questo straordinario paese sudamericano. Da qui verrebbe piuttosto da guardare con molta desolazione alle vicende italiane. E semmai dispiace che l'Argentina non fosse di più nella testa degli italiani negli anni della dittatura e della repressione che tanti complici ha avuto anche in Italia. Non ultimi gli esponenti del Vaticano qui in Argentina. Ma questo è un altro capitolo di cui parlerò la prossima settimana .
Non di questo voglio scrivere oggi.
Vorrei invece raccontare ai lettori del Corriere aretino l’Argentina degli argentini. Quella più vera e autentica. Basta fermarsi in un qualsiasi pueblo della pampa o delle sterminate distese patagoniche per capire che nel sentimento popolare della gente si compie ogni giorno un atto d’amore verso dei simboli che riassumono in se l’identità nazionale. Evita, Gardel, Che Guevara, Borges e infine lo stesso Maradona.
Voglio parlare di Borges e di Gardel. Due grandi argentini, persone diverse ma allo stesso tempo vicine che hanno segnato profondamente la cultura argentina. Due grandi artisti esistenziali che hanno scritto la poesia e il canto di un paese agognato e tragico. Perché Borges e Gardel sono due segni nitidi dell’identità argentina. Un’identità che deve molto all’uno e all’altro. Ma soprattutto rappresentano quel grande fatto culturale universale che è il Tango.
Proprio in questi giorni si tiene qui a Buenos Aires il festival mondiale del Tango, un appuntamento che vede partecipare in questa meravigliosa città, che io definisco la Parigi della mia anima, migliaia di appassionati. Ho incontrato nelle piccole strade di San Telmo o nel popolare quartiere della Boca tanti, tantissimi italiani, ballare il tango anche nelle strade.
Il Tango nasce in Argentina attorno al 1880 ha influenze africane e si impone ben presto come musica peccaminosa e sensuale. Tuttavia è anche una danza e una musica tipica degli ambienti dell’immigrazione. Si suona anche nei locali più malfamati.
E’ negli anni intorno alla prima guerra mondiale che conquista il grande pubblico europeo e se ne ritorna in patria con un aureola di rispettabilità che conquista anche la borghesia di Buenos Aires. Fu cosi che il Tango entrò in tutti i salotti eleganti del mondo, quegli ambienti che in passato lo avevano aborrito a causa delle sue basse e discutibili origini. Non per questo il Tango perderà le sue origini popolari.
Anche Borges torna in Argentina dopo aver passato alcuni anni in Europa. Non ci mette molto a scoprire che il Tango non è più solo musica ma anche parole. Merito, questo, di Gardel che con i suoi testi e il suo carisma ha sedotto in poco tempo tutta Buenos Aires e l’Argentina.
Borges non può essere estraneo a questo grande fenomeno culturale e popolare. Ne è anzi cosi conquistato da scrivere un famoso poema.
E lo intitolerà semplicemente El Tango.
Poesia e musica. Versi e note. Di tutta questa mi sto ora cibando. E vorrei che ci fosse anche questa argentina del cuore e nella testa della gente di casa mia.
Succedono tante cose strane, irrilevanti o importanti, diversissime tra loro. Ma in qualsiasi parte del mondo hanno spesso un nesso che le lega l’una all’altra. In fondo è questa la vera globalizzazione: non solo prodotti o crediti che transitano indifferentemente da un continente all'altro, ma anche reti di rapporti di causa ed effetto, valanghe di circostanze, combinazioni, vicende solo apparentemente inspiegabili. Questo pianeta ci fa respirare sempre aria di casa, anche nelle sue lontananze.
Accade cosi che viaggiando nella profonda Argentina mi capiti di leggere, aprendo la pagina internet di Repubblica, le dichiarazioni che il ministro Tremonti ha rilasciato sulla crisi italiana. Intervenendo alla trasmissione di Bruno Vespa il nostro ministro dell’economia ha smentito il suo collega Sacconi, assicurando che l’Italia non corre il rischio di finire come l’Argentina.
Credo che il ministro si riferisse alla crisi dei titoli argentini che accompagnarono la gravissima deriva economica di questo paese nel 2002, tanto è vero che consiglia di comprare i titoli di stato italiani, considerati i più sicuri del mondo.
Ovviamente su tutto questo ci sarebbe di che discutere. Altrove ho letto che i nostri Bot non sono più come un tempo, quando erano il rifugio del piccolo risparmiatore italiano. Oggi sono per la maggior parte in mano a grandi investitori esteri, che potrebbero anche decidere da un momento all'altro di vendere i loro titoli, e allora chissà come andrebbe a finire, con la nostra povera Italia. Solo per fare un esempio.
Ma non è questo che voglio dire. Tanto non sono un esperto.
La cosa che in realtà mi è venuta in mente è questa: è singolare che i nostri uomini di governo quando parlano dell’Argentina lo facciano sempre citandola come esempio negativo.
Ho letto che anche Berlusconi, nei giorni scorsi, ha accusato l’opposizione di paragonarlo a una sorta, parole testuali, di “presidente argentino”.
E' un raffronto non generoso, con questo straordinario paese sudamericano. Da qui verrebbe piuttosto da guardare con molta desolazione alle vicende italiane. E semmai dispiace che l'Argentina non fosse di più nella testa degli italiani negli anni della dittatura e della repressione che tanti complici ha avuto anche in Italia. Non ultimi gli esponenti del Vaticano qui in Argentina. Ma questo è un altro capitolo di cui parlerò la prossima settimana .
Non di questo voglio scrivere oggi.
Vorrei invece raccontare ai lettori del Corriere aretino l’Argentina degli argentini. Quella più vera e autentica. Basta fermarsi in un qualsiasi pueblo della pampa o delle sterminate distese patagoniche per capire che nel sentimento popolare della gente si compie ogni giorno un atto d’amore verso dei simboli che riassumono in se l’identità nazionale. Evita, Gardel, Che Guevara, Borges e infine lo stesso Maradona.
Voglio parlare di Borges e di Gardel. Due grandi argentini, persone diverse ma allo stesso tempo vicine che hanno segnato profondamente la cultura argentina. Due grandi artisti esistenziali che hanno scritto la poesia e il canto di un paese agognato e tragico. Perché Borges e Gardel sono due segni nitidi dell’identità argentina. Un’identità che deve molto all’uno e all’altro. Ma soprattutto rappresentano quel grande fatto culturale universale che è il Tango.
Proprio in questi giorni si tiene qui a Buenos Aires il festival mondiale del Tango, un appuntamento che vede partecipare in questa meravigliosa città, che io definisco la Parigi della mia anima, migliaia di appassionati. Ho incontrato nelle piccole strade di San Telmo o nel popolare quartiere della Boca tanti, tantissimi italiani, ballare il tango anche nelle strade.
Il Tango nasce in Argentina attorno al 1880 ha influenze africane e si impone ben presto come musica peccaminosa e sensuale. Tuttavia è anche una danza e una musica tipica degli ambienti dell’immigrazione. Si suona anche nei locali più malfamati.
E’ negli anni intorno alla prima guerra mondiale che conquista il grande pubblico europeo e se ne ritorna in patria con un aureola di rispettabilità che conquista anche la borghesia di Buenos Aires. Fu cosi che il Tango entrò in tutti i salotti eleganti del mondo, quegli ambienti che in passato lo avevano aborrito a causa delle sue basse e discutibili origini. Non per questo il Tango perderà le sue origini popolari.
Anche Borges torna in Argentina dopo aver passato alcuni anni in Europa. Non ci mette molto a scoprire che il Tango non è più solo musica ma anche parole. Merito, questo, di Gardel che con i suoi testi e il suo carisma ha sedotto in poco tempo tutta Buenos Aires e l’Argentina.
Borges non può essere estraneo a questo grande fenomeno culturale e popolare. Ne è anzi cosi conquistato da scrivere un famoso poema.
E lo intitolerà semplicemente El Tango.
Poesia e musica. Versi e note. Di tutta questa mi sto ora cibando. E vorrei che ci fosse anche questa argentina del cuore e nella testa della gente di casa mia.
Tito Barbini Corriere di Arezzo sabato 28 dicembre 2008
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