Nuovi muri stanno alzandosi
In questi giorni, esattamente venti anni fa, cadeva il Muro di Berlino. Mi verrebbe da dire: c'era una volta il Muro. Come se fosse una fiaba, qualcosa a cui non si può davvero credere, con quel lieto fine che è più dei libri che delle vicende della Storia, quella con la esse maiuscola.
In effetti quel Muro non solo c'era, ma sembrava dovesse esserci per sempre. Invece no, il Muro si sbriciolò e con esso andò a rotoli un intero impero che da Berlino arrivava fino al Pacifico. Di colpo tramontò il “sole dell’avvenire”.
Il libro che ho scritto con Paolo Ciampi “Caduti dal Muro” è stata ed è l’occasione per incontrare molti giovani. Tante scuole, sia medie che superiori, in questi giorni ci stanno chiamando per parlare del libro e allo stesso tempo per provare a spiegare cosa è successo al mondo nei 20 anni dopo. Nei paesi che un tempo si definivano socialisti, ma anche qui da noi, perché sotto quelle rovine anche da noi sono rimaste tante cose: partiti, idee, utopie, speranze.
Insomma, io e Paolo andremo parecchio in giro, con “Caduti del Muro” e con tutto quello che quella notte di novembre del 1989 ha significato per tutti noi.
Nel libro e nel mio lungo viaggio mi pongo costantemente una domanda: perché un’idea che ci era sembrata cosi bella si è rivelata portatrice di errori e di orrori?
E certo non è difficile constatare che le esperienze fallimentari dell’est sono state anche enormi tragedie. Si può dire anche di più, in realtà: tutte le rivoluzioni lo sono, perché riproducono invariabilmente il male che vorrebbero estirpare.
E allora lo dico chiaro e tondo: anch’io, avendo parteggiato per quelle rivoluzioni. sono corresponsabile dei loro insopportabili costi e del loro esito infelice.
E’ una conclusione che può avere anche un significato liberarorio. Però, sia ben chiaro, non è una abiura.
Cosa mi trattiene? Mi trattiene il sospetto che questa condanna morale di tanta parte della storia del secolo scorso nasconda in realtà un’autoassoluzione, la proclamazione della superiorità dei sistemi che hanno vinto. Il comunismo ha perso la sfida con la democrazia e con la libertà. Ma chi porterà avanti le idee di libertà e di eguaglianza che il comunismo sosteneva?
Le esperienze individuali non si possono trasmettere, appunto perché sono individuali. Neppure scrivendo un libro. E questo non ha la minima importanza. Però temo che qualcosa di simile valga anche per le esperienze collettive, cioè per le vicende della storia: e questo è un discorso più serio, assai più serio di quanto in effetti vorrei.
Quel che noi chiamiamo revisionismo storico è quasi sempre intenzionale e politicamente finalizzato. Per dirla in un altro modo, è sempre un'operazione poco trasparente, a volte perfino ambigua. Certamente è favorita dall'oblio, dall'appannamento della memoria e degli eventi, che è quasi una legge di natura: un fenomeno fatale come il trascorrere del tempo, a cui non c’è rimedio.
Lo so benissimo che, generalizzando così, “sfuggo allo specifico” e cado nel peccato mortale dell’ideologia e per di più di un ideologia fallita.
Mi va bene così, se questo mi serve a capire meglio le nefandezze del mondo in cui viviamo. Non ci si può lamentare all'infinito di quello che succede nel mondo senza mai cercarne le cause nella cultura dominante (che non chiamerò capitalista ma gli assomiglia molto e, a tutti, consiglio di andare a vedere l’ultimo film di Michel Moore).
Sono crollati insieme lo statalismo e il trionfo del mercato e del privato. E oggi, anzi, dopo il disastro della finanza globale, in Occidente si assiste al ritorno dello Stato. Invocato dovunque e soprattutto in Italia. Per proteggere i settori sociali colpiti dalla crisi. Sempre più ampi. Ma reclamato anche dagli attori del mercato stesso. Gli imprenditori. Perfino le banche. Cosa farebbero senza il soccorso dello Stato?
E poi gli Stati nazionali. La fine del muro di Berlino ne annunciava la crisi, parallelamente al rafforzarsi di altre - e nuove - entità sovranazionali. Sono sempre lì. Evocati e invocati. Attenti a rivendicare la loro autorità. All'interno dei loro confini. Per quanto cambiati profondamente, rispetto a vent'anni fa. Certo, il crollo del Muro ha allargato ad Est le frontiere d'Europa. Ci ha avvicinati all'Oriente. E ha favorito il flusso di milioni di cittadini, attraverso confini sempre più aperti.
E noi siamo sempre più impauriti dal numero crescente degli immigrati: ci fingiamo "padroni a casa nostra". Invochiamo altri muri. Nuovi muri. Per terra e per mare. Ma, soprattutto, erigiamo nuovi confini davanti e intorno a noi.
Preferiamo non vedere. Non confonderci con gli stranieri: che restino tali.
Piccoli e grandi muri crescono ancora. E chi non si accorge di questo soffre di ipocrisia. Che di tutte le ideologie è la più irritante.
In questi giorni, esattamente venti anni fa, cadeva il Muro di Berlino. Mi verrebbe da dire: c'era una volta il Muro. Come se fosse una fiaba, qualcosa a cui non si può davvero credere, con quel lieto fine che è più dei libri che delle vicende della Storia, quella con la esse maiuscola.
In effetti quel Muro non solo c'era, ma sembrava dovesse esserci per sempre. Invece no, il Muro si sbriciolò e con esso andò a rotoli un intero impero che da Berlino arrivava fino al Pacifico. Di colpo tramontò il “sole dell’avvenire”.
Il libro che ho scritto con Paolo Ciampi “Caduti dal Muro” è stata ed è l’occasione per incontrare molti giovani. Tante scuole, sia medie che superiori, in questi giorni ci stanno chiamando per parlare del libro e allo stesso tempo per provare a spiegare cosa è successo al mondo nei 20 anni dopo. Nei paesi che un tempo si definivano socialisti, ma anche qui da noi, perché sotto quelle rovine anche da noi sono rimaste tante cose: partiti, idee, utopie, speranze.
Insomma, io e Paolo andremo parecchio in giro, con “Caduti del Muro” e con tutto quello che quella notte di novembre del 1989 ha significato per tutti noi.
Nel libro e nel mio lungo viaggio mi pongo costantemente una domanda: perché un’idea che ci era sembrata cosi bella si è rivelata portatrice di errori e di orrori?
E certo non è difficile constatare che le esperienze fallimentari dell’est sono state anche enormi tragedie. Si può dire anche di più, in realtà: tutte le rivoluzioni lo sono, perché riproducono invariabilmente il male che vorrebbero estirpare.
E allora lo dico chiaro e tondo: anch’io, avendo parteggiato per quelle rivoluzioni. sono corresponsabile dei loro insopportabili costi e del loro esito infelice.
E’ una conclusione che può avere anche un significato liberarorio. Però, sia ben chiaro, non è una abiura.
Cosa mi trattiene? Mi trattiene il sospetto che questa condanna morale di tanta parte della storia del secolo scorso nasconda in realtà un’autoassoluzione, la proclamazione della superiorità dei sistemi che hanno vinto. Il comunismo ha perso la sfida con la democrazia e con la libertà. Ma chi porterà avanti le idee di libertà e di eguaglianza che il comunismo sosteneva?
Le esperienze individuali non si possono trasmettere, appunto perché sono individuali. Neppure scrivendo un libro. E questo non ha la minima importanza. Però temo che qualcosa di simile valga anche per le esperienze collettive, cioè per le vicende della storia: e questo è un discorso più serio, assai più serio di quanto in effetti vorrei.
Quel che noi chiamiamo revisionismo storico è quasi sempre intenzionale e politicamente finalizzato. Per dirla in un altro modo, è sempre un'operazione poco trasparente, a volte perfino ambigua. Certamente è favorita dall'oblio, dall'appannamento della memoria e degli eventi, che è quasi una legge di natura: un fenomeno fatale come il trascorrere del tempo, a cui non c’è rimedio.
Lo so benissimo che, generalizzando così, “sfuggo allo specifico” e cado nel peccato mortale dell’ideologia e per di più di un ideologia fallita.
Mi va bene così, se questo mi serve a capire meglio le nefandezze del mondo in cui viviamo. Non ci si può lamentare all'infinito di quello che succede nel mondo senza mai cercarne le cause nella cultura dominante (che non chiamerò capitalista ma gli assomiglia molto e, a tutti, consiglio di andare a vedere l’ultimo film di Michel Moore).
Sono crollati insieme lo statalismo e il trionfo del mercato e del privato. E oggi, anzi, dopo il disastro della finanza globale, in Occidente si assiste al ritorno dello Stato. Invocato dovunque e soprattutto in Italia. Per proteggere i settori sociali colpiti dalla crisi. Sempre più ampi. Ma reclamato anche dagli attori del mercato stesso. Gli imprenditori. Perfino le banche. Cosa farebbero senza il soccorso dello Stato?
E poi gli Stati nazionali. La fine del muro di Berlino ne annunciava la crisi, parallelamente al rafforzarsi di altre - e nuove - entità sovranazionali. Sono sempre lì. Evocati e invocati. Attenti a rivendicare la loro autorità. All'interno dei loro confini. Per quanto cambiati profondamente, rispetto a vent'anni fa. Certo, il crollo del Muro ha allargato ad Est le frontiere d'Europa. Ci ha avvicinati all'Oriente. E ha favorito il flusso di milioni di cittadini, attraverso confini sempre più aperti.
E noi siamo sempre più impauriti dal numero crescente degli immigrati: ci fingiamo "padroni a casa nostra". Invochiamo altri muri. Nuovi muri. Per terra e per mare. Ma, soprattutto, erigiamo nuovi confini davanti e intorno a noi.
Preferiamo non vedere. Non confonderci con gli stranieri: che restino tali.
Piccoli e grandi muri crescono ancora. E chi non si accorge di questo soffre di ipocrisia. Che di tutte le ideologie è la più irritante.
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