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sabato 27 ottobre 2012

Cosa ci fa il busto di Lenin al Polo Sud ?





È proprio il caso di credere che il materialismo storico sia una categoria filosofica che si adatta a tutto. Tanto che può persino permetterci di indagare sui mutamenti climatici del mondo che hanno origine in Antartide.
Non molto tempo fa, una squadra d’esploratori britannici e canadesi si mise in marcia per raggiungere, primi a farlo a piedi, il cosiddetto “Polo Sud dell’inaccessibilità”, che poi è il punto più remoto dell’Antartide.
Ce la fecero, dopo sette settimane di venti terribili e temperature decisamente al di sotto lo zero. Ce la fecero, trascinando slitte di 120 chili e scarpinando per quasi duemila chilometri. E una volta che ce l’avevano fatta, si imbatterono in una sorpresa da restarsene a bocca aperta per un pezzo.
Roba da non crederci: perché ad accoglierli, nel punto più remoto e inospitale del mondo, fu nientemeno che l’espressione solenne e accigliata di Vladimir Ilic Lenin. Gli occhi del socialismo reale più che realizzato nella forma in apparenza eterna di un busto senza alcun tratto di gelo, neppure un ghiacciolo sul naso! In effetti non ci credevano, i quattro protagonisti dell’impresa.
All’inizio la presero per uno strano pezzo di ghiaccio e per un’ombra disegnata al suolo, poi pensarono a un miraggio, o a un’allucinazione: succede dopo venticinque ore che arranchi per i ghiacci senza sosta.
Alla fine dovettero arrendersi a quello sguardo inquisitore.Era proprio lui.
Ma che ci faceva, il padre dei Soviet, proprio lì, nel punto più inaccessibile del continente di ghiaccio?
I reazionari diranno che l’hanno sempre saputo, loro: i comunisti sono sempre dappertutto.
In realtà dietro tutto questo c’è una storia che i nostri esploratori non potevano certo conoscere.
Nel 1958, in piena guerra fredda, i sovietici raggiunsero il “Polo dell’inaccessibilità”. 
Zitti zitti vi installarono una base di ricerca meteorologica che operò solo per qualche mese e che quasi sicuramente svolse anche qualche attività militare.
Poi se ne andarono lasciandosi dietro questo incredibile souvenir.
Così l’artefice e animatore dei “dieci giorni che scon- volsero il mondo” e della rivoluzione con la erre maiuscola si ritrova nel gelo antartico: non solo perfettamente conservato ma, guarda caso, esattamente nel punto più lontano da qualsiasi barlume di vita civile.
Non mi meraviglierei se scoprissimo, magari tra qualche anno, che un altro busto di Lenin viaggia su qualche satellite abbandonato e perso negli spazi siderali. Tutto sommato ne sono certo.
Ne voglio parlare con il mio amico Serghei quando tornerò in Antartide con il rompighiaccio su cui lavora. Magari nessuno glielo ha mai detto. Forse gli farà piacere sapere che nella sua ripetuta rotta per il Polo Sud potrà contare sulla vicinanza ideale del grande artefice della Rivoluzione bolscevica.
Sempre che non si arrabbi, al cospetto di un altro inequivocabile segnale della dissoluzione della patria socialista.
Dopo la fine dell’impero, la caduta del suo mito, messo a congelare nel freezer del mondo, come un qualsiasi mammut.

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