IL VESCOVO E IL VENERABILE
A nessun viaggiatore verrebbe mai in mente di fermarsi, percorrendo la strada che da Rio Negro porta ai piedi delle Ande Patagoniche, in una città che si chiama Neuquèm. Caso mai può fermarsi sessanta chilometri più avanti e cercare, in uno dei più interessanti siti paleontologici del mondo, le ossa di pietra dei più grandi dinosauri del pianeta. Ma a Neuquèm no, qui nessuno si ferma, a meno che non abbia una ragione davvero speciale.
Ma, andiamo per ordine, perché voglio spiegarvi perché io a Neuquém mi sono fermato. E perché questo c'entri anche con le terre della nostra provincia.
In Italia mi ero imbattuto per caso in un video in Internet dove uno strano sacerdote salesiano, vescovo di una città mineraria e petroliera, vicina ai grandi siti paleontologici e nella terra che fu degli indios Mapuche, parlava di diritti umani e di marce per ricordare le vittime della repressione e i desaparecidos dell’ultima dittatura militare.
Marce che si tenevano, intendiamoci, nella sua città, nella Patagonia argentina. E’ stato cosi che nel viaggio che sto facendo nell’inseguimento del mio salesiano di inizio secolo, Alberto De Agostini, ho fatto una tappa a Neuquèm, con l'obiettivo di conoscere un salesiano dei nostri tempi, Marcello Melani, il vescovo patagonico.
Melani ha origini valdarnesi, anche se ha lasciato la nostra terra più di quarant’anni fa. Da allora come missionario in Argentina ha fatto una lunga esperienza nelle lontane e improvvisate cittadine della Patagonia degli anni Sessanta. La stessa Patagonia, per intendersi, che alcuni anni dopo avrebbe percorso Bruce Chatwin.
E’ stato il parroco durante gli anni difficili della crescita e dell’integrazione della nostra emigrazione in questa zona dell’Argentina e, uno dei pochi , anzi pochissimi, che negli anni della dittatura militare non si è schierato con i golpisti. Ma soprattutto, in questo nostro tempo Melani si trova in prima fila nella chiesa argentina per riparare dagli errori del passato.
Li chiamo errori e non so se è il termine giusto. Comunque sia con esso mi riferisco a tutto quanto ha portato gran parte delle gerarchie cattoliche a essere complici del silenzio.
Ecco, la ragione per cui sono a capitato in questa cittadina della Patagonia, dunque. Sono venuto fin qui per ricordare un nostro conterraneo di cui nessuno parla.
E ho trovato un legame con Arezzo. Un legame che è dato dalla notizia che un nostro concittadino ha avuto una condanna definitiva per aver calunniato e diffamato i giudici italiani Turone e Colombo in merito alla vicenda della strage alla stazione di Bologna.
Si tratta, come avrete capito di Licio Gelli. La condanna,oltre agli anni di carcere, ha sanzionato la confisca di alcuni lingotti d’oro trovati nella villa di Gelli ad Arezzo. Ebbene, i giudici diffamati sono stati risarciti proprio con l’oro di Gelli. Solo che loro, con grande sensibilità, hanno deciso di dare il prezioso metallo alle vittime delle stragi italiane e quelle della dittatura argentina.
E’ stato per questo che le Madri di Plaza De Mayo hanno ricevuto una parte dell’oro confiscato al venerabile capo della P2.
Sembra un giro molto complicato, ma basta pensarci solo un attimo e rammentare le trame di un tempo. Gelli c’entra davvero molto con la dittatura argentina.
Spesso noi aretini facciamo finta di non saperlo oppure ci passiamo sopra con molta disinvoltura, ma questi viaggi in Argentina sono un buon modo per ravvivare la memoria. Siatene certi, ogni volta che tornerò in Argentina farò in modo di coltivare questi ricordi.
Gelli è stato console onorario nel periodo della dittatura. I grandi responsabili della terribile notte argentina che ha portato alla sparizione nel nulla di oltre trentamila ragazzi e ragazze erano, guarda caso, tutti iscritti alla loggia massonica P2.
Ecco qui. Vi ho parlato di un vescovo patagonico e di Licio Gelli. Due conterranei. Uno di cui essere orgogliosi e un altro di cui vergognarsi. La vita, evidentemente, è sempre una questione di scelte. L'Argentina aiuta a non dimenticarselo. (tito barbini- corriere di arezzo 5/12/2009)
A nessun viaggiatore verrebbe mai in mente di fermarsi, percorrendo la strada che da Rio Negro porta ai piedi delle Ande Patagoniche, in una città che si chiama Neuquèm. Caso mai può fermarsi sessanta chilometri più avanti e cercare, in uno dei più interessanti siti paleontologici del mondo, le ossa di pietra dei più grandi dinosauri del pianeta. Ma a Neuquèm no, qui nessuno si ferma, a meno che non abbia una ragione davvero speciale.
Ma, andiamo per ordine, perché voglio spiegarvi perché io a Neuquém mi sono fermato. E perché questo c'entri anche con le terre della nostra provincia.
In Italia mi ero imbattuto per caso in un video in Internet dove uno strano sacerdote salesiano, vescovo di una città mineraria e petroliera, vicina ai grandi siti paleontologici e nella terra che fu degli indios Mapuche, parlava di diritti umani e di marce per ricordare le vittime della repressione e i desaparecidos dell’ultima dittatura militare.
Marce che si tenevano, intendiamoci, nella sua città, nella Patagonia argentina. E’ stato cosi che nel viaggio che sto facendo nell’inseguimento del mio salesiano di inizio secolo, Alberto De Agostini, ho fatto una tappa a Neuquèm, con l'obiettivo di conoscere un salesiano dei nostri tempi, Marcello Melani, il vescovo patagonico.
Melani ha origini valdarnesi, anche se ha lasciato la nostra terra più di quarant’anni fa. Da allora come missionario in Argentina ha fatto una lunga esperienza nelle lontane e improvvisate cittadine della Patagonia degli anni Sessanta. La stessa Patagonia, per intendersi, che alcuni anni dopo avrebbe percorso Bruce Chatwin.
E’ stato il parroco durante gli anni difficili della crescita e dell’integrazione della nostra emigrazione in questa zona dell’Argentina e, uno dei pochi , anzi pochissimi, che negli anni della dittatura militare non si è schierato con i golpisti. Ma soprattutto, in questo nostro tempo Melani si trova in prima fila nella chiesa argentina per riparare dagli errori del passato.
Li chiamo errori e non so se è il termine giusto. Comunque sia con esso mi riferisco a tutto quanto ha portato gran parte delle gerarchie cattoliche a essere complici del silenzio.
Ecco, la ragione per cui sono a capitato in questa cittadina della Patagonia, dunque. Sono venuto fin qui per ricordare un nostro conterraneo di cui nessuno parla.
E ho trovato un legame con Arezzo. Un legame che è dato dalla notizia che un nostro concittadino ha avuto una condanna definitiva per aver calunniato e diffamato i giudici italiani Turone e Colombo in merito alla vicenda della strage alla stazione di Bologna.
Si tratta, come avrete capito di Licio Gelli. La condanna,oltre agli anni di carcere, ha sanzionato la confisca di alcuni lingotti d’oro trovati nella villa di Gelli ad Arezzo. Ebbene, i giudici diffamati sono stati risarciti proprio con l’oro di Gelli. Solo che loro, con grande sensibilità, hanno deciso di dare il prezioso metallo alle vittime delle stragi italiane e quelle della dittatura argentina.
E’ stato per questo che le Madri di Plaza De Mayo hanno ricevuto una parte dell’oro confiscato al venerabile capo della P2.
Sembra un giro molto complicato, ma basta pensarci solo un attimo e rammentare le trame di un tempo. Gelli c’entra davvero molto con la dittatura argentina.
Spesso noi aretini facciamo finta di non saperlo oppure ci passiamo sopra con molta disinvoltura, ma questi viaggi in Argentina sono un buon modo per ravvivare la memoria. Siatene certi, ogni volta che tornerò in Argentina farò in modo di coltivare questi ricordi.
Gelli è stato console onorario nel periodo della dittatura. I grandi responsabili della terribile notte argentina che ha portato alla sparizione nel nulla di oltre trentamila ragazzi e ragazze erano, guarda caso, tutti iscritti alla loggia massonica P2.
Ecco qui. Vi ho parlato di un vescovo patagonico e di Licio Gelli. Due conterranei. Uno di cui essere orgogliosi e un altro di cui vergognarsi. La vita, evidentemente, è sempre una questione di scelte. L'Argentina aiuta a non dimenticarselo. (tito barbini- corriere di arezzo 5/12/2009)
Ciao Tito,
RispondiEliminaancora una volta buon viaggio. I tuoi articoli sono sempre interessantissimi...
Un abbraccio
Francesca