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sabato 12 dicembre 2009

Terra del Fuoco




Ci sono storie che devono essere narrate. Prima di tutto quelle delle donne e degli uomini che hanno abitato, per primi, quel mondo alla fine del mondo : gli indios.
Scrivo degli indios e mi viene subito in mente Enriqueta Gastelumendi. E’anche questa una piccola storia che mi va di raccontare ai miei lettori del Corriere. Morta a 91 anni, nell’agosto del 2004, l’ultima rappresentante degli indios Ona. Era nata il 15 luglio del 1913, era la più piccola di cinque figli di Ramon Guastalumendi, morto nel 1918, e di una Selk’nam, una Ona battezzata come Maria Felisa che mori nel 1949, senza aver imparato “nient’altro che quattro o cinque parole di spagnolo”.
Era nata nella fattoria di un missionario bianco, un tale che si chiamava Thomas Bridge, uno dei primi europei a stabilirsi nella terra degli Ona. Forse a metterla al mondo era stato un fuggente attimo d’amore o di rapimento della madre con uno spagnolo cacciatore di foche. Per questo lei era considerata impura dalla sua gente. Non aveva sangue intero Enriqueta ma non si considerò mai di razza meticcia. Volle essere e rimanere, dall’inizio alla fine, una donna della tribù degli Onas.
L’ultima.
Portava con se il dolore infinito di uno degli eccidi più terribili, e meno conosciuti, consumati ai danni degli indios del Sudamerica. Un genocidio come quello che abbiamo conosciuto in altre vicende della storia recente, uno sterminio totale fatto da coloni e colonizzatori che venivano dall’Europa , soprattutto inglesi e olandesi.
Ma già avevano conosciuto l’uomo bianco, e la sua ferocia. Da tempo, infatti, i navigatori europei che passavano sulle navi lo stretto di Magellano si divertivano a ucciderli, cosi per esercitarsi al tiro. Passarono dieci anni e i tremila Yàmanas che conobbero lo i bianchi erano diventati mille, nel 1910 , quando arrivarono dall’Italia i missionari salesiani, meno di cento.
E non andò certo meglio agli Onas che popolavano un poco più a Nord le radure dell’Isla Grande. A metà dell’800 arrivarono i cercatori d’oro dall’Italia, dalla Croazia, dalla Spagna e dalla Francia e gli allevatori di pecore dall’Inghilterra. Quando gli indios videro le pecore fu come andare a nozze. Erano più facili, molto più facili da prendere dei Guanachi e la carne era più buona e la lana più calda. Non l’avessero mai fatto, i coloni inglesi decisero di sterminarli. Misero una taglia di una sterlina per ogni paio di orecchie, testicoli o seni che provassero la morte di un aborigeno. E i cercatori d’oro si adeguarono alla caccia e alla sua ricompensa. Insomma ogni mezzo era lecito: lasciarono una balena adulterata spiaggiata sulle rive dello stretto e 500 Onas morirono per averne mangiato le carni, altri 300 furono avvelenati a tradimento in un convivio che avrebbe dovuto sancire la pace. E chi non lasciò il mondo per una sterlina fu colpito dalle malattie oppure venne deportato in Europa ed esibito nei circhi equestri. Si racconta di un certto Maurice Matre che si arricchì grazie a un gruppo di bambini Onas . Faceva pagare il biglietto all’Esposizione di Parigi del 1889, per vedere i bambini in gabbia, costringendoli a mangiare carne cruda e presentati come cannibali.
Tra i cacciatori di teste si è distinto un inglese soprannominato Mister Bond, che portato in fondo il genocidio degli indios in Terra Del Fuoco, si spostò in Patagonia continuò a lavorare per l’industria laniera e nel 1921 partecipò ai massacri degli operai e dei sindacalisti durante il grande sciopero di quegli anni. In un solo giorno partecipò alla fucilazione di 17 lavoratori.
Tornando ai nostri Onas: nel 1905 erano rimasti meno di 500, nel 1945 erano 25. L’ultima discendente diretta, da parte di madre, è la nostra Enriquetta.

E’ sepolta nel piccolo cimitero di Ushuaia. Quando mi sono incamminato nel vialetto che porta alla sua tomba ho pensato che quelle lastre di granito fossero come dei libri di pietra. Archivi di umanità dove le pagine sanno di vita e non di morte. Sbuco dal vialetto e mi ritrovo davanti a una lastra con la foto di una donna dal sorriso ironico . Enriqueta, appunto. Nessuno si prese la briga di insegnargli a leggere e a scrivere. A quindici anni sposò un uomo che non conosceva e per il resto della sua vita ha tirato avanti lavorando come un animale.
Ho imparato da sola, raccontò prima di morire a un giornale argentino parlando delle sue sculture, giocando. Ha dedicato quasi tutta la sua vita a disegnare e a scolpire. Intarsiava la “lenga”, il legno della Terra del Fuoco riproducendo volti e animali che, come per magia rievocavano una epopea di diecimila anni perché cosi tanti ne vissero indisturbati gli Onas.
(tito barbini- corriere di arezzo sabato 12 dicembre)

1 commento:

  1. Diecimila anni di storia, indisturbati. Poi arriva l'uomo bianco, l'uomo "civile" e spazza via tutto in pochi decenni. Ma quale civiltà abbiamo portato a questa gente? La morte che ruba spazio alla vita, il buio che uccide la luce, l'ignoranza che porta via ossigeno alla ragione!
    Buon proseguimento del tuo viaggio meraviglioso
    Francesca

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