Ho letto in un grande quotidiano nazionale che, dopo venticinque anni vissuti in Toscana, lo scrittore James Hamilton Paterson ha deciso di lasciare la nostra regione e di rifugiarsi tra i boschi dell’Austria.
Il suo commiato, ironico e amaro insieme, è rappresentato da un libro, “Cucinare con il Fernet Branca”, in cui sono impietosamente evidenziati distorsioni e equivoci partoriti dall’appropriazione del paesaggio toscano da parte del “turismo di massa”.
Parto da questa notizia curiosa per tentare alcune riflessioni sul dibattito che si sta svolgendo, in Toscana e in tutta Italia, attorno alla questione degli scempi urbanistici. Lo faccio come opinionista in questo giornale ma anche, e non me ne vogliate, come “padre” della legge regionale 5 sul governo del territorio. Ma soprattutto mi decido a scriverne perché anche ad Arezzo, e in tutta la sua provincia, si stanno intravedendo episodi edilizi brutti e discutibili.
A differenza dello scrittore che ha lasciato la Toscana credo che non si debba assoggettare il nostro territorio a un modello di valorizzazione e sviluppo fondato unicamente sull’attrazione turistica: correremmo il rischio di snaturare e compromettere la nostra stessa identità culturale. Rischieremmo, soprattutto, di restringere l’orizzonte di una regione densa di cultura e storia, un orizzonte che invece deve essere ampio e multiforme, e saper coniugare la memoria, il paesaggio, l’arte, con il lavoro, la creatività, l’innovazione.
Non so se parlo troppo difficile, però di una cosa sono sicuro: è necessario costruire lo sviluppo tenendo insieme i beni materiali con i valori che costituiscono la nostra identità e con i bisogni sociali.
Sbaglia però chi ritiene che le vicende dei brutti insediamenti che si moltiplicano nelle nostre colline mettano in discussione il cosiddetto modello toscano di governo del territorio e la stagione di “buona urbanistica” che ha prodotto nel decennio seguente il varo della legge regionale di riforma 5/1995.
I principi fondativi della legge - la sostenibilità dello sviluppo, la cooperazione tra i diversi livelli istituzionali di governo, la tutela delle risorse assicurata dall’esercizio organico e coordinato delle funzioni di pianificazione e programmazione di tutti gli enti - hanno ampiamente mostrato in questi dieci anni la propria validità.
E poi errori ne saranno stati fatti sicuramente tanti, da parte di questa o di quella amministrazione comunale. Ma una volta riconosciuto tutto questo cosa si vorrebbe fare? Tornare a un “prima” che certo, con tutte le sue gerarchie, non ha certo preservato meglio il territorio toscano e, anzi, lo ha abbandonato nelle mani di una pericolosissima “contrattazione politica”?
A mio avviso bisogna essere davvero coerenti: non riempirsi la bocca di espressioni come sussidarietà, come reciproca autonomia dei differenti livelli di governo del territorio, e poi sottrarre ai comuni le decisioni sul loro territorio.
In realtà il difetto non sta nel modello o nella legge. La questione è un’altra: è la mancata coerenza tra le scelte che si operano a livello degli enti locali e le norme generali della legge, ovvero i principi innovativi introdotti nel governo del territorio. La significative trasformazioni che molti comuni stanno consentendo dovrebbe infatti essere coerente - oltre che con le aspettative della comunità locale – anche con la vocazione profonda del territorio, con le risorse e i valori non negoziabili che esso esprime, con gli indirizzi strategici e di lunga durata degli strumenti di pianificazione.
E voi che dite? Può dirsi coerente con i caratteri del paesaggio e le prospettive di sviluppo turistico-culturale legate all’identità storica del territorio un intervento lottizzatorio con tipologie edilizie, tipo una schiera di villette? E che dire se per di più si è dimostrato che a quella domanda di accoglienza turistica si può far fronte senza nuovo consumo di suolo?
Invece che considerare inadeguato il modello toscano, mi pare che si dovrebbe riflettere sul percorso che ha portato alla formazione di scelte improprie e inopportune, in quanto non coerenti con lo spirito e i principi delle legge regionale.
E lo dico perché ne sono convinto, non in quanto “padre”, appunto, di quella legge.
Detto questo aggiungo anche che scorgo un atteggiamento culturale criticabile in chi ha sostenuto che spetta solo agli abitanti dei vari comuni - e ai loro rappresentati istituzionali - decidere sulle sorti del paesaggio perché essi sono gli eredi dei braccianti, dei contadini e dei mezzadri che con il proprio lavoro quel paesaggio hanno lentamente costruito.
Il paesaggio toscano - il borgo antico, la campagna circostante - non ha valore in sé, se non per quello che è la Toscana nel suo complesso e per quello che la Toscana intera rappresenta nel mondo:
E allo stesso modo Arezzo e la sua provincia sono parte imprescindibile del paesaggio straordinario di una regione che ha radici profondissime e che è anzitutto una costruzione storica unitaria, fatta di memoria condivisa, coesione sociale, valori e aspettative comuni. Un bene che non dobbiamo mai dimenticarci di dover difendere a spada tratta.
Il suo commiato, ironico e amaro insieme, è rappresentato da un libro, “Cucinare con il Fernet Branca”, in cui sono impietosamente evidenziati distorsioni e equivoci partoriti dall’appropriazione del paesaggio toscano da parte del “turismo di massa”.
Parto da questa notizia curiosa per tentare alcune riflessioni sul dibattito che si sta svolgendo, in Toscana e in tutta Italia, attorno alla questione degli scempi urbanistici. Lo faccio come opinionista in questo giornale ma anche, e non me ne vogliate, come “padre” della legge regionale 5 sul governo del territorio. Ma soprattutto mi decido a scriverne perché anche ad Arezzo, e in tutta la sua provincia, si stanno intravedendo episodi edilizi brutti e discutibili.
A differenza dello scrittore che ha lasciato la Toscana credo che non si debba assoggettare il nostro territorio a un modello di valorizzazione e sviluppo fondato unicamente sull’attrazione turistica: correremmo il rischio di snaturare e compromettere la nostra stessa identità culturale. Rischieremmo, soprattutto, di restringere l’orizzonte di una regione densa di cultura e storia, un orizzonte che invece deve essere ampio e multiforme, e saper coniugare la memoria, il paesaggio, l’arte, con il lavoro, la creatività, l’innovazione.
Non so se parlo troppo difficile, però di una cosa sono sicuro: è necessario costruire lo sviluppo tenendo insieme i beni materiali con i valori che costituiscono la nostra identità e con i bisogni sociali.
Sbaglia però chi ritiene che le vicende dei brutti insediamenti che si moltiplicano nelle nostre colline mettano in discussione il cosiddetto modello toscano di governo del territorio e la stagione di “buona urbanistica” che ha prodotto nel decennio seguente il varo della legge regionale di riforma 5/1995.
I principi fondativi della legge - la sostenibilità dello sviluppo, la cooperazione tra i diversi livelli istituzionali di governo, la tutela delle risorse assicurata dall’esercizio organico e coordinato delle funzioni di pianificazione e programmazione di tutti gli enti - hanno ampiamente mostrato in questi dieci anni la propria validità.
E poi errori ne saranno stati fatti sicuramente tanti, da parte di questa o di quella amministrazione comunale. Ma una volta riconosciuto tutto questo cosa si vorrebbe fare? Tornare a un “prima” che certo, con tutte le sue gerarchie, non ha certo preservato meglio il territorio toscano e, anzi, lo ha abbandonato nelle mani di una pericolosissima “contrattazione politica”?
A mio avviso bisogna essere davvero coerenti: non riempirsi la bocca di espressioni come sussidarietà, come reciproca autonomia dei differenti livelli di governo del territorio, e poi sottrarre ai comuni le decisioni sul loro territorio.
In realtà il difetto non sta nel modello o nella legge. La questione è un’altra: è la mancata coerenza tra le scelte che si operano a livello degli enti locali e le norme generali della legge, ovvero i principi innovativi introdotti nel governo del territorio. La significative trasformazioni che molti comuni stanno consentendo dovrebbe infatti essere coerente - oltre che con le aspettative della comunità locale – anche con la vocazione profonda del territorio, con le risorse e i valori non negoziabili che esso esprime, con gli indirizzi strategici e di lunga durata degli strumenti di pianificazione.
E voi che dite? Può dirsi coerente con i caratteri del paesaggio e le prospettive di sviluppo turistico-culturale legate all’identità storica del territorio un intervento lottizzatorio con tipologie edilizie, tipo una schiera di villette? E che dire se per di più si è dimostrato che a quella domanda di accoglienza turistica si può far fronte senza nuovo consumo di suolo?
Invece che considerare inadeguato il modello toscano, mi pare che si dovrebbe riflettere sul percorso che ha portato alla formazione di scelte improprie e inopportune, in quanto non coerenti con lo spirito e i principi delle legge regionale.
E lo dico perché ne sono convinto, non in quanto “padre”, appunto, di quella legge.
Detto questo aggiungo anche che scorgo un atteggiamento culturale criticabile in chi ha sostenuto che spetta solo agli abitanti dei vari comuni - e ai loro rappresentati istituzionali - decidere sulle sorti del paesaggio perché essi sono gli eredi dei braccianti, dei contadini e dei mezzadri che con il proprio lavoro quel paesaggio hanno lentamente costruito.
Il paesaggio toscano - il borgo antico, la campagna circostante - non ha valore in sé, se non per quello che è la Toscana nel suo complesso e per quello che la Toscana intera rappresenta nel mondo:
E allo stesso modo Arezzo e la sua provincia sono parte imprescindibile del paesaggio straordinario di una regione che ha radici profondissime e che è anzitutto una costruzione storica unitaria, fatta di memoria condivisa, coesione sociale, valori e aspettative comuni. Un bene che non dobbiamo mai dimenticarci di dover difendere a spada tratta.
Tito Barbini (corriere di arezzo ,sabato 19 luglio)
Ciao
RispondiEliminada un po' seguo silenziosamente il tuo blog. Ho letto anche uno dei tuoi libri "Antartide" e mi è piaciuto molto.
Ti conferisco il premio "Brillante weblog 2008"
Un saluto
valentina
Bentornato!
RispondiEliminaNon posso parlare da esperta perchè non lo sono. Parlo però da amante della Toscana e soprattutto da innamorata di Firenze. E' proprio per questa città, che oramai è diventata la mia città, sento così vere le parole che scrivi. La stessa situazione della Toscana la vive questa città che sta perdendo la sua peculiarità in nome non so di che, direi del dio denaro.... ma in una maniera incoerente perchè tutto quello che viene fatto "per renderla moderna ed efficiente" la sta affondando.
Era una signora affascinante nella sua bellezza antica e la stanno riducendo ad una vecchia signora che per nascondere le magagne dell'età si riempie di rossetto e rimmel, con il risultato di apparire patetica e ancora più vecchia..
Scusa lo sfogo, ma le tue parole hanno toccato una corda dolente!
Fausta