Etichette

giovedì 30 aprile 2009

Caduti dal Muro...e ci siamo fatti male.


Quest'anno cade l'anniversario della caduta del muro. 1989-2009.


Berlino è ancora un grande cantiere a cielo aperto.
Dopo la riunificazione è cominciata la più grande operazione di rinascita di una città dopo quella realizzata, sempre a Berlino, sulle macerie della seconda guerra mondiale. E ancora non è finita.
I lavori proseguono e gli ultimi casermoni socialisti, con quei cubi di cemento che ricordano i pezzi di una costruzione Lego, lasciano inesorabilmente spazio alle nuove forme dell’architettura moderna.
Berlino non è certo povera di motivi di interesse e di seduzione per ogni genere di visitatore: non lo è mai stata.
Però oggi regala un’occasione irripetibile: la possibilità di compiere una sorta di pellegrinaggio in una città che cambia freneticamente, attraverso spazi conquistati e trasformati, idee che si trasformano in opere, squarci di meraviglia per un nuovo che è anche bello, architetture leggere e trasparenti che acquistano volume e fisionomia grazie ai progetti di maestri quali Rogers, Piano, Eisenman, Grassi.
Non credo che tutto questo durerà per molto tempo ancora: se non sei stato ancora a Berlino, non perdere altro tempo.

E così ora cammino per questa città che, nel bene e nel male, è stata al centro delle tragedie e delle speranze, dei crimini e dei desideri di riscatto della nostra epoca.
Guardo la Berlino che una volta c’era e che non c’è più, la Berlino protagonista della Storia e quella che dalla Storia è stata brutalizzata.
L’arietta frizzante, le vetrine illuminate, la gente che si affolla pacificamente alle fermate dei tram, la composta allegria degli imbiss - i chioschetti dove ti puoi sempre fermare per una birra e un panino al wurstel - l’eleganza dei ristoranti di Oranienburger Strasse… tutto questo certo non aiuta a capire.
Per quanto mi riguarda la testa mi gira a forza di pensieri. Mi ritrovo a Postdamer Platz e medito su quella che fu una terra di nessuno.
Mi godo la bellezza della cupola trasparente del Reichstag e ritorno all’incendio che un giorno appiccarono i nazisti, lugubre avvisaglia della successiva catastrofe.
Penso al 9 novembre del Muro fatto a pezzi, strappato con le mani, a martellate, a colpi di piccone, e solo dopo con le ruspe, però poi mi lascio folgorare dal ricordo di un altro 9 novembre, quello della Notte dei Cristalli: la notte di un’altra frenesia collettiva, quella della caccia all’ebreo e delle sinagoghe rase al suolo.
E godo della libertà ritrovata, ma non posso fare a meno di pensare alle tortuosità della Storia, alle sue crudeli contraddizioni, alle inesauribili possibilità di sofferenza che è in grado di infliggerci.
È finita l’epoca del socialismo, che sicuramente non è mai stato il Paradiso in terra, e la disillusione è già in agguato dietro l’angolo, perché anche l’Occidente non è rose è fiori, non è solo supermercati strapieni di delikatessen e pubblicità con sorrisi e promesse di felicità.
È anche miseria, è anche fatica, è anche iniquità.
Pensi almeno di aver girato pagina una volta per tutte ed ecco che le città dell’est, soprattutto le periferie più degradate, si popolano di inquietanti bande naziste. E i “nostalgici”, chiamiamoli così, cominciano a entrare nei parlamenti regionali.
Proprio mentre sono qui viene pubblicato un’inquietante ricerca del centro studi della Spd, il grande partito socialdemocratico della Germania: almeno 15 tedeschi su cento, leggo, potrebbero riconoscersi in un partito di estrema destra, addirittura il 20 per cento coltiverebbe pregiudizi antisemiti…
Come se niente fosse successo… un colpo di spugna sulla tragedia più immane del Novecento.

Tutto è in movimento, in questa straordinaria città, tutto è pronto a stupirti perché cambia, non perché rimane uguale a se stesso.
A Berlino Est, però, resiste ancora un grande fantasma di pietra.
La vecchia Stalin Allee, oggi Karl Marx Allee, è certamente la strada più ideologica della Germania e insieme una metafora della nostalgia.
Su questo grande viale, lungo due chilometri e largo più di cento metri, si affacciano gli esempi più classici dell’edilizia socialista. I palazzi, completamente restaurati e ben conservati, riprendono i canoni austeri e compatti dell’edilizia sovietica, senza tuttavia rimuovere completamente l’eredità architettonica della Berlino di Bismarck.
Nel complesso non è male, il colpo d’occhio è tutt’altro che sgradevole, almeno nella misura in cui è possibile serbare uno sguardo freddo, distaccato.
Se le emozioni prendono quota, come succede a me ora, il discorso è un altro.
Questa strada, lo so bene, per oltre cinquant’anni ha impegnato in estenuanti dibattiti urbanisti e architetti di tutto il mondo. Però quanto mi si agita dentro non è certo un dilemma estetico.
Oggi, quasi per un’intera giornata, l’ho percorsa avanti e indietro, all’ombra dei tigli, indugiando su particolari e pensieri. Più volte mi sono soffermato a contemplare i simboli che evocano il regime tramontato.
Anche in altre città della Germania orientale lapidi e monumenti sono stati risparmiati dalla furia iconoclasta, ed è giusto, perché la distruzione di oggi non aiuterà certo la memoria di domani.
Però tutto quello che si vede, che si respira, che si può perfino toccare in questa strada ricorda quel passato: assieme a quel poco che ormai rimane del Muro la Karl Marx Allee ci riporta davvero ai tempi della guerra fredda e dei blocchi contrapposti.
È solo in questa strada che si comprende davvero cos’era Berlino quando era divisa nel cielo e in terra, quando il Muro tagliava quartieri, separava famiglie, lasciava finire nel nulla strade che un tempo congiungevano.
Tutto mi ricorda qualcosa.
Le panchine dei giardinetti a lato, per esempio, sono decisamente affollate. A occuparle non sono i turisti, si capisce al volo, ma gli inquilini dei grandi palazzi che si affacciano sulla strada.
Fossimo in qualsiasi altra parte del pianeta, non ti verrebbe da pensare a nient’altro che a pensionati che ammazzano pigramente il loro tempo al tepore di un pallido sole nordico.
Però non si può abitare per caso in quella che un tempo portava orgogliosamente il nome di Stalin Allee.
Gli alloggi, qui, venivano assegnati a chi aveva acquisito particolari benemerenze nei confronti del regime e del partito. Un appartamento in questa strada era un premio. No, non necessariamente un privilegio riservato a carrieristi e opportunisti, perché c’era anche chi ci credeva, c’era chi avrebbe dato la vita per il socialismo…
Tra questi vecchietti probabilmente c’è anche qualcuno dei “pionieri” che nel dopoguerra accorsero a Berlino da volontari, per spazzare via le macerie e ricostruire una città degna di una patria nuova, di un uomo nuovo…

Proprio in questi giorni lungo la Karl Marx Allee si ricorda la Stalin Allee di un tempo con una serie di mostre fotografiche.
Tra tutte le immagini spicca, anche per dimensioni, quella della parata militare dell’ottobre 1989, in occasione del quarantesimo anniversario della nascita della Germania Est, cioè della DDR.
È un’impressionante esibizione di forza: un esercito imponente che sfila tra masse in delirio.
Un trionfo al quale pare non mancare niente.
Mai vista tanta gente.
Un’enorme festa di popolo, davvero: e invece, a rivedere tutto col senno di poi, nient’altro che un funerale.
Le esequie di un regime anacronistico, fradicio nelle fondamenta, ormai incapace perfino di puntellarsi su qualche tentativo di autoriforma.
La storia spesso è tragica, ma talvolta non manca di ironia. Un mese più tardi, solo un mese, e tutto questo sarebbe sparito, lo stesso Muro sarebbe stato fatto a pezzi!


dal libro "caduti dal muro" di paolo ciampi e tito barbini (vallecchi 2009)

martedì 7 aprile 2009

Riscaldamento del Pianeta


POLO SUD
Antartide, cede ponte di ghiaccio. Alla deriva l'iceberg più grande
Nuovo allarme per il riscaldamento globale: la placca che si è staccata dal continente è grande come la Giamaica.

Il mio amore per l'Antartide è ancora grande. Questo continente continuerà ad abitarmi dentro e credo di averlo detto con il mio libro. Il libro si conclude con l'impegno a fare qualcosa per difenderlo. Testimoniare quello che accade è per me un imperativo morale. Ecco l'ultima notizia.


SI ERA formato silenziosamente nel corso di diecimila anni. In pochi giorni, sorprendendo tutti gli scienziati, l'iceberg di Wilkins, a nord dell'Antartide, si è spaccato in mille pezzi e i suoi frammenti sono caduti in mare con una serie di schianti fragorosi. Così si è rotto il cordone ombelicale. Il cordone ombelicale che teneva ancorata alla penisola antartica questa piattaforma bianca di 3.700 chilometri quadri era ormai ridotto a una passerella di ghiaccio lunga 40 chilometri e larga 500 metri. Nel corso della settimana scorsa si è sbriciolato quasi completamente lasciando alle correnti dell'Oceano antartico il compito di spazzare via blocchi di iceberg grandi come palazzi. Anche se nella penisola antartica oggi soggiornano diverse spedizioni scientifiche, il cataclisma è avvenuto lontano da testimoni umani. Solo gli occhi del satellite dell'Agenzia spaziale europea Envisat hanno registrato la perdita del più grande e più meridionale fra i pezzi di calotta mai distrutti dal riscaldamento climatico. "Wilkins ha iniziato a restringersi negli anni '90", spiega Angelika Humbert, la glaciologa dell'università tedesca di Munster che segue quotidianamente le immagini del polo sud inviate da Envisat. "Ultimamente però il ritmo della distruzione delle piattaforme di ghiaccio è accelerato. Non passa anno senza registrare la perdita di un iceberg gigante". Da una stazione della British Antarctic Survey, il glaciologo inglese David Vaughan, che a gennaio aveva percorso il corridoio di ghiaccio nel suo punto più stretto - appena 500 metri a 20 metri di altezza dal mare - commenta stupefatto: "Tre giorni fa il corridoio era sottile, ma intatto. È incredibile quanto la distruzione sia stata rapida".
Solo nel 2008 il calore aveva rubato alla piattaforma il 14 per cento della sua superficie, seminando in mare un'accozzaglia di frammenti di iceberg. Nel 1930, quando Hubert Wilkins sorvolò questa piattaforma rivendicandola fra i possedimenti di re Giorgio V e lanciando dall'aereo una bandiera inglese e un certificato di proprietà, la sua area toccava i 13mila chilometri quadri. Al polo sud è ancora conservato il 91 per cento di tutto il ghiaccio del pianeta. Per ragioni non del tutto chiare però, la penisola antartica oggi si sta riscaldando a una velocità superiore rispetto al resto del continente, e anche al pianeta nel suo complesso. Negli ultimi 50 anni la temperatura media è aumentata di 2,5 gradi e l'emorragia di ghiaccio ha superato la soglia dei 25mila chilometri quadri, restringendo il profilo del continente. Neanche negli ultimi inverni, quando il bilancio fra neve fresca che cade e ghiaccio che si scioglie dovrebbe essere positivo, Wilkins era riuscito a recuperare il volume perduto. Dal momento che l'iceberg era già un blocco galleggiante, il suo distacco e il prevedibile scioglimento non provocheranno di per sé un aumento dei livelli degli oceani. La sua perdita però, come un tappo che salta, faciliterà il deflusso del ghiaccio disciolto che dall'interno della penisola antartica si riversa in mare ogni estate

mercoledì 1 aprile 2009

Il volto della follia


AD AREZZO MEMORIA E ATTUALITA’ DI FRANCO BASAGLIA


Vent’anni fa, nel 1989 cadeva il Muro di Berlino e quest’anno si celebra l’anniversario di questo evento storico. Sono passati invece trent’anni dalla caduta di altri muri di casa nostra: i muri dei manicomi. E’ infatti del 1979 la prima applicazione della legge 180 che porta il nome di Franco Basaglia.
Pensavo proprio l’altro giorno a questo anniversario che per me segna malgrado tutto un grande traguardo di civiltà. Ci pensavo l’altra mattina, ascoltando a Radio Rai un programma che prendeva spunto da alcuni terribili fatti di cronaca che hanno visto per protagonisti persone con evidenti disturbi psichici ma abbandonate a se stesso. E inutile dire che anche su questo terreno si respira un’aria sempre più brutta in Italia. In alcuni messaggi pervenuti in redazione non c’era solo voglia di riapertura di manicomi. Peggio, ho sentito evocare la pena di morte e anche la tentazione dell’eugenetica… E chissà, forse le terribili stragi avvenute proprio nello stesso tempo in paesi come l’Alabama e la Germania hanno perlomeno sottratto il terreno alle peggiori strumentalizzazioni politiche.
Basaglia, insomma. Un grande convegno che si terrà ad Arezzo dal 26 al 28 Marzo ricorderà questa straordinaria figura di psichiatra e con lui la feconda stagione della chiusura dei manicomi e dell’affermarsi di una nuova pratica e cultura della lotta all’emarginazione. E non possiamo dimenticare che proprio nella nostra città c’è stata una delle esperienze più significative del nostro paese, con un valore etico, scientifico e anche politico, universalmente riconosciuto.
Ho avuto modo di conoscere Basaglia e Agostino Pirella, direttore storico del manicomio di Arezzo, nel breve periodo in cui sono stato presidente della provincia di Arezzo. La peculiarità dell’esperienza aretina, è importante sottolinearlo, fu la capacità di legare il progetto di chiusura dell’ospedale psichiatrico alla realizzazione dei servizi territoriali di igiene mentale che prefigurarono quelli che poi furono previsti dal servizio sanitario nazionale. Fu una stagione straordinaria che registrò l’impegno di tutti gli operatori, dagli infermieri ai medici, e la partecipazione dell’intera città.
Ricordo le assemblee in cui gli stessi degenti ponevano a tutti noi le domande scomode e terribili sulla realtà di quelle istituzioni e su quell’universo concentrazionario. C’era speranza, c’era passione, in quelle assemblee. C’era la consapevolezza condivisa di stare scrivendo una bella pagina di civiltà.
Cosi il padre della legge 180 ricorda quell’esperienza: “La cosa importante è che abbiamo dimostrato che l’impossibilità diventa possibile. Dieci, quindici, vent’anni fa (siamo nel 1979) era impossibile pensare che un manicomio potesse essere distrutto. Magari i manicomi torneranno ad essere chiusi e più chiusi di prima, io non lo so, ma in ogni modo abbiamo dimostrato che si può assistere la persona folle in un altro modo, e la testimonianza è fondamentale”
Oggi la legge 180, nonostante i tentativi di modificarla, non è una legge datata, smentita dai fatti, superata dalle evidenze scientifiche. Oggi dimostra ancora la sua attualità e semmai chiede di essere attuata fino in fondo, perché siano presenti sul territorio e dotate di personale e risorse adeguate tutte le strutture che, in alternativa al manicomio, devono farsi carico del disagio mentale.
La stessa Unione Europea, in un recente atto di indirizzo, ha recepito interamente i principi ispiratori e i contenuti di questa grande riforma, raccomandando a tutti i paesi membri di andare verso un progressivo abbandono delle istituzioni psichiatriche di tipo concentrazionario per andare ad una organizzazione dei servizi territoriali.
Ben venga quindi il convegno di Arezzo. Non una celebrazione ma un impegno concreto per il futuro. Non credo che i promotori dell’iniziativa vogliano fare un dogma della 180, però se cambiare è sempre possibile, non si può permettere che, in un clima di restaurazione, siano cancellate conquiste importanti. Che, in altre parole, siano riproposte strutture residenziali per i cosi detti cronici, disgiunte da un programma riabilitativo e col solo obiettivo di sottrarre i pazienti all’ambiente sociale. Ovvero, di rimuovere il problema nascondendolo, come si fa con la polvere sotto il tappeto.
Certo non possiamo dimenticare che l’Italia è fatta di tante realtà diverse. L’eccezionale esperienza dei servizi territoriali di igiene mentale, le case famiglia gestite dagli ex degenti, non sono un patrimonio esteso all’intero paese. E spesso le famiglie sono sole di fronte al disagio mentale. Vero, tutto vero. Ma i problemi si risolvono solo guardando avanti, con soluzioni per il futuro, non con nostalgie per il passato, per di più troppo comode.


(tito barbini, il corriere di arezzo, sabato 28 marzo)