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mercoledì 6 novembre 2013

La mia Patagonia


  • Una mia amica di, Serena Ferla, ha scritto su Facebook una breve riflessione su un mio libro di molti anni fa: "Le Nuvole non chiedono permesso" . Le righe che Serena ha dedicato alla Patagonia mi sembrano le più belle che io abbia mai letto. Ecco qui:


    "la Patagonia che ho calpestato in pochi giorni nel cuore dell'inverno, non è quella descritta da Chatwin o raccontata da Sepulveda. Ho intravisto un immenso, minuscolo spazio di terra arida e polverosa, che correva lunga ed infinita attraverso una vegetazione ruvida e bassa, popolata da timidi ed indifferenti animali senza età.
    Raccontarla è impossibile: il suo potente spazio non vuole aggettivi che la possano limitare e rinchiudere in una sola, seppur ricca, definizione. Per farlo è necessario giocare con lei, restituirle le sua importanza con coppie di parole che viaggiano opposte, ossimori audaci e banali allo stesso tempo. E' più facile pensarla e capirla se si accetta di ragionare con la magia di categorie contrapposte: sei sicuro di non sbagliare se la ricordi con il suo vento così afosamente gelido, con i suoi silenzi assordanti, con la sua vivida opacità, con le sue assenti presenze . La sua grandezza non si può misurare, il suo spazio è il totale vuoto. E in questo vuoto c'è solo posto per te che la stai guardando. Di fronte a quel nulla scopri finalmente di avere TUTTO dentro di te, e torni a casa non più ricco di quando sei partito, ma arricchito di te stesso. E forse ti piaci di più. Se provi ad abbracciare con lo sguardo l'infinito che hai intorno riesci a cogliere l'essenza della libertà e ti accorgi di esserne diventato schiavo. Non riesci a piangere perchè le lacrime scendono immobili e asciutte.
    La Patagonia era dentro di me e non lo sapevo!"
  • 29/10/2013 14:47

giovedì 19 settembre 2013

Le Rughe di Cortona : così ne parla Paolo Ciampi



















“Per quanto un albero possa diventare alto, le sue foglie, cadendo, ritorneranno sempre alle radici”. Tra le infinite citazioni sul senso e sul sentimento del viaggio, è con questo antico proverbio cinese per la testa che ho terminato la lettura di Le rughe di Cortona, l'ultimo libro di Tito Barbini.

Come capita spesso con la saggezza orientale, le parole sono semplici ma ciò a cui fanno riferimento è senz'altro più complesso. Siamo noi, quell'albero. Siamo noi quelle foglie che ritornano alle radici. Semmai è quel “per quanto un albero possa diventare alto” che mi convince meno. Non “per quanto”, ma “proprio perché”: questo è come la vedo io. Proprio perché si cresce, proprio perchè con le nostre foglie si tocca il cielo, è ovvio, naturale, necessario tornare alle radici.

È esattamente quello che penso a proposito di Tito Barbini, scrittore e viaggiatore, o viaggiatore e scrittore, nell'ordine che si preferisce, ma anche persona che da lungo tempo ho avuto la fortuna di conoscere. È un albero cresciuto alto, Tito. Un albero che ha saputo liberarsi da ciò che lo appesantiva e lo piegava.

A un certo punto della vita Tito ha smarrito la strada – ed era una strada chiaramente segnata, apparentemente obbligata. A posteriori è stata la sua fortuna. È da allora che si è messo davvero in cammino: con i viaggi – che lo hanno portato verso le mete più remote e affascinanti – e con le parole – che certo sono un altro modo di viaggiare.

Per tutto questo oggi può tornare alle radici. Può cioè vivere l'esperienza più importante per il viaggiatore: il ritorno.

mercoledì 19 giugno 2013

Le Rughe di Cortona







Questa mattina a Firenze ho firmato il contratto con il mio editore per la pubblicazione del mio nuovo libro. Penso che uscirà a Settembre con uno strano titolo: Le Rughe di Cortona.

Rughe della città, quindi, rughe come quelle che solcano il volto di un anziano. Segno corporeo, fisico. E non solo, perché sono anche impronta immateriale del tempo trascorso.

Ho cominciato a scrivere questo libro alla fine del 2011 mentre mi trovavo presso la pensioncina della signora Magaldi a Punta Arenas, nella punta estrema del Cile. Dopo aver scritto le prime pagine, ho lasciato la Patagonia per rientrare in Italia. E nei giorni seguenti sono tornato a Cortona. Ho vagato per la città, giorno dopo giorno, per lungo tempo. La maggior parte di questo libro è stata scritta al rientro da quelle camminate. Partivo, di solito, dall’alto della collina e scendevo a valle percorrendo i vicoli stretti e varcavo gli accessi della città attraverso le antiche porte.

E’ indubbio, tra i cosiddetti centri storici minori della Toscana che sono meta di intenso turismo, Cortona, è una delle più visitate in Italia. In effetti, il complesso formato dai casamenti, chiese, torri civiche e borghi medievali disposti con sapienza logica sul manto verde di un bosco di olivi secolari e delimitato dalle mura di origine etrusca, offre una compiutezza urbanistica e paesaggistica che ben merita la reputazione che si è conquistata.

Ma la fretta dei nostri tempi obbliga spesso il viaggiatore a visite sbrigative di poche ore per essere poi inghiottito da altre mete. Eppure anche il viaggiatore senza tempo può permettersi una piccola deviazione dal suo percorso.

sabato 18 maggio 2013

La morte del dittatore Videla e le atrocità commesse







La morte di un uomo può chiamare tutti al silenzio, la memoria delle atrocità commesse, avvallate o comandate da questo individuo, deve rimanere nelle coscienze di tutti. Io lo voglio fare  ricordando due pagine del mio libro "Il Cacciatore di Ombre":

Grandi invece sono le responsabilità degli italiani che ricoprivano cariche e posti autorevoli. Politici, diplomatici, gerarchie cattoliche non solo non hanno fatto nulla per impedire quella che è stata la strage più grande di italiani dopo la seconda guerra mondiale.

Poi, nello stesso modo con cui hanno insabbiato le vicende scomode di questi anni,si è chiusa la questione. E invece sarebbe molto importante continuare i processi e riaprirne di nuovi se necessario, anche in Italia.

Anche noi dobbiamo chiarire una parte della nostra storia nazionale che riguarda quel periodo.

Bisogna fare i nomi e i cognomi di chi ha avuto le sue responsabilità. Bisogna ricordare il nunzio apostolico Pio Laghi, che benediceva e faceva benedire generali e torturatori. Ma bisogna anche ricordare tutte le aziende italiane che lavoravano in Argentina, come la Fiat, aziende con capitoli oscuri da riaprire e da verificare. Bisogna ricordare che l’ambasciatore italiano dell’epoca chiuse le porte dell’ambasciata italiana la mattina dopo il golpe militare.  Non per impedire ai militari di entrare ma per negare agli italiani perseguitati e inseguiti di salvarsi dalla mattanza.

Si parla poco della dittatura argentina, e la mia impressione è che se ne parli sempre meno. In Italia, anche per la complicità del governo italiano dell’epoca, si è parlato poco anche di fatti che ci investono direttamente.

Fatti che, per dire, riguardano un mio concittadino, tristemente famoso per aver diffamato e calunniato i giudici Turone e Colombo in merito alla vicenda della strage alla stazione di Bologna. L'avete capito, si tratta di Licio Gelli, l'ex capo della loggia massonica deviata P2.

Fu accusato di aver depistato le indagini con la complicità dei servizi segreti deviati.

Il processo a Gelli non si concluse solo con una condanna al carcere, gli vennero confiscati anche alcuni lingotti d’oro trovati nella sua villa ad Arezzo. Ebbene, i giudici diffamati furono risarciti proprio con quell’oro. Solo che loro, con grande sensibilità, hanno deciso di consegnarlo alle vittime delle stragi italiane e alle vittime della dittatura argentina: 1.330 grammi d'oro che sono passati nelle mani delle locas, le pazze, come chiamavano la Madri di Plaza de Mayo.

Un piccolo ma indicativo gesto di riparazione, a favore delle vittime della dittatura che il “venerabile” Gelli ha sostenuto, attraverso una rete di oscuri contatti tra la giunta militare e il mondo politico ed economico italiano, fino ad arrivare alle gerarchie ecclesiastiche.

Sono orgoglioso di questi miei due magistrati.

A proposito di Gelli, c'è un testimone argentino che ha minuziosamente descritto la sua vita durante il suo lungo internamento all’Esma, la Scuola Meccanica della Marina, dal 1979 fino alla caduta del regime militare. Si chiama Victor Basterra e fu messo a lavorare in una sorta di tipografia clandestina. Tra le altre cose ricorda di avere dovuto creare quattro falsi passaporti per una persona che poi apprese essere Licio Gelli. In Svizzera, quando fu arrestato, Gelli ne aveva uno con sé.

Gelli: il console onorario in Italia dell’Argentina degli assassini. Non dell'Argentina delle madri che piangevano per i loro figli e invocavano giustizia.

Spesso penso alle parole di Eduardo Galeano, un suo breve paragrafo della sua storia alternativa dell’America latina Il secolo del vento:

“Le Madri della Plaza de Mayo, donne partorite dai propri figli, sono il coro greco di questa tragedia. Inalberando le foto dei loro desaparecidos, girano e girano, intorno alla piramide davanti alla Casa Rosada.”

domenica 5 maggio 2013

Stretto di Magellano




Dove mi trovo?

Mi faccio spesso questa domanda quando scrivo. E forse la farete anche voi lettori. Un narratore di viaggi non deve mai scordarsi di raccontare al suo lettore dove si trova con la sua storia.

 Siamo al Sud più a Sud di tutto dove l’ultima costa del Cile smette il suo denso profilo andino per frastagliasi in un imbroglio di canali , fiordi e insenature che corrono verso la Terra del Fuoco e inciampano in quello scoglio solitario chiamato Capo Horn.

Eravamo rimasti sotto il quarantesimo parallelo? Allora ecco subito la prima grande isola che si allontana dalla costa cilena. A sud di Puerto Montt, cè l’isola di Chiloè. Dell’isola ho scritto molto nel mio primo viaggio.  Isola di miti, leggende e vascelli fantasma, mi verrebbe da dire. Nell’isola ho anche dornito nell’albergo delle donne tristi. Naturalmente dopo aver letto il libro di Marcela Serrano.

 Qui è nato, nel lontano 1910 Francisco Coloane il mio scrittore preferito degli oceani alla fine del mondo.

L’ho perso per un soffio è stato a Roma prima che morisse qualche anno fa.

 Don Pancho lo chiamavano gli amici.

“Finché puoi lasciati spaventare dalla realtà” dice spesso, anche quando gli rimarrà poco tempo da vivere.  Trasforma, nei suoi libri, la paura in una forza misteriosa.

Ho ricopiato nella mia moleskine un brano di un suo racconto. Lo porto sempre con me nei miei viaggi patagonici , assieme alla balena bianca di Melville.

Posso invidiare la fortuna di un viaggio in nave nello stretto di Magellano? Vedrai balene ogni sera mangiare il sole. Attenzione alla malinconia. Lentamente nelle rocce e nel ghiaccio un continente svanisce in mare. E scoprirai nei colori dell’alba quanto può inquietare il silenzio delle terre alla fine del mondo…