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lunedì 29 marzo 2010

UItima chiamata per l'Antartide


A tutti coloro che sognano un viaggio in Antartide conviene far presto. Il continente bianco chiuderà presto le porte al turismo di massa per tornare ad essere terra della scienza. Perché la scienza cerca qui le risposte al più grande problema del secolo :il cambiamento climatico. A coloro che non potranno mai andare dedico ogni tanto un capitolo dal mio libro "Antartide,perdersi e ritrovarsi alla fine del mondo"



Una linea infinita di tessuto bianco immacolato.
Si presenta così, al pomeriggio del mio terzo giorno di navigazione, la costa antartica.
Più tardi, scorgo pure le prime creste montagnose gonfie di neve perenne. Il ghiaccio si distacca lentamente ma inesorabilmente dalle alte pareti e cade nei canali con il fragore del tuono. Ognuno di quei tonfi è l’atto di nascita di un iceberg.
Sì, proprio così: sotto i miei occhi queste meraviglie della natura cominciano il loro viaggio attraverso gli oceani.
Sono enormi, sono delle forme più disparate e incredibili. Sono bellissimi.
Avanzano lentamente, ombre azzurre e inquietanti, statue scolpite dal vento e dal sole.
Architetture oniriche.
Ne vedo alcuni che ospitano passaggi, caverne, gallerie, archi e grotte istoriate di stalattiti. Assumono colorazioni che vanno dal bianco latte al celeste, dal raro azzurro intenso fino al rarissimo verde smeraldo.
L’emozione mi stringe la gola.
Resto come stordito in silenzio, immobile, sul ponte del rompighiaccio per un tempo infinito. Chiudo gli occhi per un istante e cerco di isolarmi dai miei compagni di viaggio. Respiro profondamente poi apro gli occhi. Mi sento proiettato indietro nel tempo, ho la sensazione di tornare alle origini di tutto. Avvolto dall’immenso.
Avverto l’indescrivibile percezione di essere giunto sul limite della mia ricerca dell’altrove e dei luoghi ultimi della terra.
È davvero straordinario: come se fossi entrato in un sogno in cui precipito dalla Terra e approdo in un pianeta sconosciuto fra gli spazi galattici e siderali, in un’altra dimensione.
Devo farmi forza, e forse violenza, per ritornare alla mia “consapevolezza”, per esigere da me di vivere interamente il presente, di condividere il mondo che mi sta attorno.
Quando hai la sensazione di appartenere davvero a un luogo come questo vuol dire che davvero hai fatto un bel pezzo di strada.
Intendo, naturalmente, un bel pezzo di strada nei territori della tua anima.
Come mi riesce facile ora guardarmi indietro senza che questo mi impedisca di gettarmi nel futuro.
Passato e futuro, forse l’ho già detto, sono due facce della stessa medaglia.
Un tempo – lo capisco sempre di più e lo capisco meglio proprio stando qui – sia il passato che il futuro, il mio passato e il mio futuro, erano qualcosa di molto spazioso, ma in fondo appena sufficiente per contenere quello che troppo spesso ho chiamato passione e scambiato per passione, pur essendo solo egoismo.

giovedì 18 marzo 2010

Triste e arrabbiato



Oggi sono proprio triste. E anche un po’ arrabbiato. Anzi, parecchio arrabbiato. Vorrei non credere a quello che mi sta capitando sotto gli occhi, eppure è tutto vero, vero e doloroso come uno schiaffo che ascia il segno.
Il paese si sta decomponendo, immerso nella corruzione e nella sistematica violazione delle leggi e delle regole della democrazia, mentre il Senato della Repubblica discute di “legittimo impedimento”. Cioè dei problemi personali del Presidente del Consiglio.
Ed è bene essere ben chiari sui contenuti di questa iniziativa di legge, con la quale si stabilisce che il premier può ottenere il rinvio dell'udienza dei processi in cui è imputato, perché «legittimamente impedito» dalle sue attività di governo a comparire in tribunale.
Ogni rinvio può estendersi fino a sei mesi, per un totale di 18 mesi. È sufficiente che la presidenza del Consiglio attesti l'esistenza di questo impedimento, perché il giudice rinvii il processo ad altra udienza. Queste norme sono estese anche ai ministri. Finora il giudice aveva un certo margine di discrezionalità nel decidere caso per caso se l'impedimento dell'imputato-premier fosse legittimo e accordare o meno il rinvio.
D'ora in avanti si cambia, ci mancherebbe altro.
I giudici che stanno processando Berlusconi a Milano nel processo sui presunti fondi neri di Mediaset hanno respinto il primo marzo la sua richiesta di legittimo impedimento, dicendo che il consiglio dei ministri fissato in quella data non era necessario e inderogabile. Quella in discussione al Senato è una «legge ponte» - scade dopo 18 mesi dall'entrata in vigore - varata nell'attesa che il Parlamento approvi una legge costituzionale sulle immunità, come ricorda il testo stesso della legge.
E’ chiaro, si tratta dell'ennesima legge ad personam ed è incostituzionale, perché mette al riparo Berlusconi dai suoi processi violando la sentenza della Consulta sul «Lodo Alfano», secondo la quale la materia delle prerogative del presidente del Consiglio può essere affrontata soltanto con una legge costituzionale e non ordinaria. Ma questa è carta straccia per la maggioranza che governa il nostro paese.
Funziona così, questo paese. Se c'è una regola e questa regola è un problema per chi non vuole o non può rispettare, c'è sempre un'altra soluzione: quella regola può essere aggirata, derogata, sospesa, eccepita, variamente interpretata, limitata a casi specifici che ovviamente sono altri, cancellata con provvedimenti ad personam. E quant'altro, la fantasia non manca. Succede per qualsiasi cosa, in questo paese che tra i tanti problemi che ha ne ha uno rispetto al quale nessuno può dirsi davvero estraneo, quello del deficit della cultura delle regole. E magari si comincia nelle strade della nostra città, quando non ci si ferma alle strisce pedonali per non far passare o si getta una carta per terra. Però poi si arriva anche alle regole delle elezioni, che in queste settimane si stanno trattando come l'evasione fiscale: si può fare di tutto tanto prima o poi il condono arriva.
Oggi sono triste e voglio dimostrare tutta la mia solidarietà verso i miei concittadini onesti. Quelli che pagano le tasse e le multe, quelli che fanno la fila agli sportelli per consegnare un documento per non essere esclusi da un concorso. Quelli che, quando incorrono in qualche procedimento giudiziario, devono andare dal giudice se non vogliono i carabinieri a casa.
Oggi mi rivolgo a loro alla gente normale della mia città. Ma non sentite anche voi il dovere di dire basta a tutto questo schifo?

lunedì 8 marzo 2010

lo sciopero degli immigrati


E' stato un giorno importante, anche se forse non tutti ce ne siamo accorti. Eppure è così: lo scorso primo marzo centinaia di città, piccole e grandi, in Italia, in Francia, Spagna e Grecia hanno ospitato una singolare protesta: lo “sciopero degli immigrati”, in cui milioni di persone occultate e negate, nonostante il loro contributo alla nostra economia e alla nostra società, hanno alzato la voce per i loro diritti. E si sono svolte manifestazioni un po’ dovunque, ma non ad Arezzo.
Una buona occasione, per restituire dignità a un popolo che semplicemente non si vede. O peggio, che si vede, ma viene visto solo come un fattore di allarme sociale e di angoscia collettiva.
Perciò è stato importante, al di là del numero di quanti hanno partecipato, che il “primo marzo degli immigrati” abbia avuto successo, aprendo la strada ad altre giornate come questa. Ed è assai significativo che, a promuoverlo, siano state, tra gli altri, le comunità straniere: perché qui sta la sfida più ardua, che non si esaurisce certo in ventiquattro ore ma che, al contrario, da questo primo marzo può prendere le mosse.
E allora la domanda è: perché ad Arezzo nessuno si è mosso in appoggio a questo sciopero? E voglio chiamare in causa i partiti e in primo luogo il Partito Democratico. Ma non solo. Perché non hanno espresso la loro solidarietà le istituzioni pubbliche?
E magari mi sbaglio, ma a differenza che in altre realtà toscane non ho visto nemmeno un grande impegno del sindacato.
Se è così, e credo che sia proprio così, non si è capito che in gioco c'erano e ci sono due cose importantissime. La prima è la nostra economia. Se andassero via gli stranieri cosa succederebbe? Chi farebbe un’infinità di lavori indispensabili, soprattutto quelli legati ai servizi alla persona?
In gioco però c’è anche un’altra cosa importantissima, che chiamiamo soggettività: l’identità individuale e collettiva, le biografie e le memorie, le culture e i vissuti e le aspettative. Gli immigrati sono da tempo nella società italiana, profondamente inseriti nelle sue sfere di vita e nei suoi gangli economici: accudiscono i nostri bambini e i nostri vecchi e reggono settori come l’agroalimentare e l’allevamento, l’edilizia, la ristorazione, la siderurgia, la pesca e altri ancora. Sostengono in misura rilevante il nostro sistema di welfare, surrogandolo attraverso il “lavoro di cura” e incrementandolo attraverso la contribuzione previdenziale. Sono nelle case degli aretini e negli uffici, nei mezzi di trasporto e nelle pizzerie, ma semplicemente non li vediamo. Ovvero non li “pensiamo”.
Non è questione di buoni sentimenti e nemmeno di buone intenzioni.
Fino a quando gli immigrati rimarranno una folla anonima e indistinta, senza nome e senza volto, senza personalità e senza passato, ci appariranno molesti e minacciosi e la loro distanza da noi tenderà a crescere.
Mi sono chiesto più volte perché in Italia non è mai nato un movimento di massa come SOS Racisme in Francia. Penso a molti motivi ma uno in particolare va considerato oggi. Lo slogan del movimento francese era: non toccare il mio amico. Ma in Italia quanti possono dire di avere - e non in senso ideologico o solidaristico - un amico immigrato?
Questo paese ha dimenticato cosa è stata l’emigrazione italiana nel mondo. E soprattutto in un periodo di crisi la paura verso il diverso e verso l’emarginato diventa la risposta più facile. Quasi scontata, nell’insopportabile clima di “egoismo sociale” che attraversa il nostro paese.
Abbiamo fatto dei Rom il nuovo capro espiatorio, stiamo criminalizzando i poveri del mondo e si sta introducendo una normativa dove, clandestino, è uguale a criminale.
Si parla d’immigrazione clandestina, beninteso, come se l’extracomunitario in regola con le impronte venisse invece accolto fraternamente nei recinti di filo spinato nei cantieri edili al nero, o sottopagati nelle aziende del Nord-Est e nei campi rossi di pomodori del centro o del sud, nei quartieri residenziali dove porta a spasso il vecchietto.
E allora sì, c’è qualcosa di davvero preoccupante in questa nostra assenza allo sciopero degli immigrati. ( tito barbini, corriere di arezzo 6 marzo 2010)