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lunedì 17 dicembre 2012

La mia storia comincia dal Bagno Penale di Ushuaia...


Ecco, comincia cosi questa mia nuova storia nella terra ai confini del mondo, con l’evasione dell’anarchico russo Simon Radowitzki.

E’ una storia di anarchici e migranti.

Siamo nel 1918 e questa è la terra estrema a sud della Patagonia. Ho scritto tanto di questa terra e dei suoi costruttori e, quasi sempre ogni storia si incontra con l’altra in quel cerchio magico che Borges ha descritto cosi bene.

Esploratori che si trasformano in conquistatori, coloni spietati, cacciatori di balene e di teste, assassini e braccianti sfruttati schiavizzati impotenti di fronte al naufragio di un sogno che si chiamava America. E ancora, ribelli anarchici e celebri rapinatori fino ad arrampicarsi nelle pieghe amare della storia più recente: le prostitute del postribolo La Catalana, le madres de plaza de Majo, i coniugi Curinonco, dell’etnia Mapuche ai quali lo stato ha strappato la terra per venderla all’italiano Luciano Benetton. In mezzo a questo oceano brulicante di vittime e carnefici, pescatori di granchi e cercatori di pepite ci sono i preti e gli scrittori. E il viaggio diventa pretesto per incontrarli o raccontarli. Ho raccontato tutto questo nei miei libri. Antartide, Le Nuvole non chiedono permesso e il Cacciatore di Ombre sono la mia testimonianza.

E’ proprio vero tutte le vite hanno una storia, ma poche vengono scritte.

Terra del Fuoco, più di un secolo fa. Si chiamava Pasqualino Rispoli e veniva da Torre del Greco.

Arrivò nel 1897, non aveva ancora vent’anni e subito si mise a far traffici di contrabbando tra Argentina e Cile navigando con la sua barca nel Canale.

Pare che fosse un bella giornata di sole quando sbarcò a Punta Arenas.

Non capita quasi mai da quelle parti.

Ma Pascalino, come veniva chiamato da tutti, arrivò in estate, quella australe s’intende. La data era la stessa il 10 gennaio della sua nascita, diciannove anni prima. Vietato credere alle coincidenze. Come se quel ragazzo spaurito, quel mozzo cencioso, fosse entrato dentro la storia di quelle terre alla fine del mondo.

Questa che trova il ragazzo di Torre del Greco è una terra ancora incognita, per lo più ancora da esplorare, attraversata dai venti gelidi che vengono dagli oceani alzando polvere di mare.

Abitato per lo più da sparute comunità di indios e da avventurieri senza scrupoli che venivano in queste terre a vivere le loro cattive azioni.

Raccontano che nelle stive della nave che lo portava verso il sud ci fosse un sacco con tutto ciò che gli restava del padre. Durante le settimane della traversata Pasqualino passava ore a guardarsi delle foto sbiadite di quel genitore fuggito, per paura di non riconoscerlo al suo arrivo.

Ritrovò il padre pochi giorni dopo dal suo arrivo a Punta Arenas.

Incontro drammatico secondo alcuni testimoni, commovente secondo altri. Probabilmente le due cose insieme.

Con gli anni fece affari e mise su famiglia, poi, appunto, gli capitò l' occasione di fare l'eroe (per 1000 dollari) aiutando un anarchico russo a scappare dalla tremenda prigione di Ushuaia. Lo traghettò fra canali e isole fino allo Stretto di Magellano dove il povero anarchico fu ripreso e tornò in galera per altri 12 anni. Pasqualino se la cavò con pochi giorni di guardina. Morì nel 1957, come un tranquillo borghese.

Dunque, un giovane parte alla ricerca del padre emigrato in circostanze oscure in terre sconosciute. Lo ritrova alla fine del mondo, nella gelida Patagonia. Qui diventa pirata, contrabbandiere, mercenario. Il miglior lupo di mare sulle rotte tra il Cile e l’Argentina. Nelle vene sangue torrese. Diventa un mito.

Mi fermo qui. I prossimi capitoli cercherò di scriverli nei prossimi giorni mentre sono in viaggio. Off the road...come si dice! Un abbraccio a tutti i miei lettori e Buon Natale.

giovedì 13 dicembre 2012

Ho trovato la statua che non c'era...


Ecco, sono arrivato  da poche ore a Puerto Natales. Sono sceso dal Buses della compagnia Pacheco e mi avvio subito verso il Porto per trovare la statua di De Agostini con il capo degli indigeni Ona. Ho parlato di questa statua e della sua strana storia nel mio libro "Il Cacciatore di Ombre" e penso che sia un pò anche merito mio se, finalmente, è stata collocata in un posto bellissimo vicino al mare. Il momunento celebra l'amicizia di De Agostini con gli indios. Un genocidio dimenticato quello degli indios della Patagonia e della Terra del Fuoco. 
 La sorte degli indios della Patagonia e della Terra del Fuoco  era indissolubilmente legata a quella del guanaco, il lama selvatico delle Ande.
I territori della caccia si sono sovrapposti a quelli della leggenda e io percorro liberamente gli uni e gli altri nel dipanarsi del mio racconto.
Quando Alberto s’incontrò con gli ultimi Alacaluf si commosse per la loro miseria. Ecco come ne parla in Ande Patagoniche:
Eccoci giunti al loro accampamento. Piove dirottamente e noi non possiamo comprendere come questi miseri selvaggi possano trascorrere la vita in questo ambiente. E’ costituito da poche capanne vicine le une alle altre. Hanno una forma emisferica, formate con rami conficcati al suolo e convergenti al centro dove rimane uno spazio vuoto per l’uscita del fumo. Sopra questa rozza armatura è disteso uno strato di pelli di foca. Nel centro della capanna un fuoco sempre acceso. Ovunque ammucchiati i residui della loro alimentazione consistenti in gran parte in conchiglie di cozze e patelle, ossi di uccelli e qualche tibia e cranio di lontra. Come si vestono? Fino a pochi anni fa il loro vestito era una pelle grande di lontra o di guanaco che portavano nella schiena  e una piccola intorno alle reni.
Ora invece si coprono con vecchi stracci che acquistano dai loberos, (cacciatori di foche)  o abiti che  prendono in regalo dai passeggeri delle navi.
Bello questo racconto, ho sempre pensato a De Agostini anche come a un discreto scrittore.
Uomo di poche parole, per certi versi uomo solitario come le vette delle sue montagne, nelle parole che mette nella carta è pervaso da una sensibilità commossa, parla di uomini con le loro sofferenze, di una natura bella ma anche terrificante.
Mi sono domandato spesso, in questo mio errare per i villaggi scomparsi, in questi colloqui immaginari con le ombre degli indiani, se De Agostini fosse un combattente, magari senza spada,  o soltanto un testimone del genocidio degli indiani.
Perché nessuno ha raccontato del suo impegno nel diritto alla vita e all’esistenza degli indios?
Domanda imbarazzante che però ha bisogno di una risposta.
Alberto parla spesso nei suoi scritti della condizione degli indios e prende posizione a favore delle tribù indigene che andavano via via scomparendo sotto la persecuzione dei bianchi.  Aveva preso a cuore il problema e non sopportava che tutto fosse smarrito dentro una filosofia di neutralità che compiangeva gli indiani ma non condannava i coloni e i cacciatori bianchi. 
Durante le sue esplorazioni, ma anche nella semplice ricerca delle anime da portare al cristianesimo, Alberto aveva stretto dei rapporti di vera amicizia con gli Onas, gli Yamanas e gli Alacalufe nella Terra del Fuoco, ma anche con i Tehuelches in Patagonia. 
Avvertiva che gli stessi missionari, compreso lui stesso,  pur nelle migliori intenzioni potevano disturbare l’equilibrio secolare del rapporto degli uomini con la natura. 
E non era facile conciliare queste convinzione con la responsabilità del “pastore di anime” che doveva occuparsi anche dei coloni, dei cacciatori e dei minatori, di tutti coloro che arrivavano in quelle terre in cerca di fortuna.
Tuttavia non gli mancò mai il coraggio di schierarsi, di prendere le parti dei deboli e di denunciare.
E’ stata una scoperta anche per me, questo piglio di combattente. E' proprio così: di coraggio De Agostini dimostrò di averne in quelle circostanze difficili.
In un libro che scrisse dopo i primi anni in Punta Arenas, arrivò perfino ad accusare il governatore di Punta Arenas, Manuel Senoret, di genocidio nei confronti degli indiani.
La responsabilità di queste guerre di sterminio degli Onas, poggia in larga misura sul Governatore Senoret…Per tutelare gli interessi di alcuni proprietari e di opporsi anche ai missionari salesiani, che avrebbero preferito espellere, dall’isola di Dawson per riappropriarsi di foreste e pascoli, favorì la più indegna delle persecuzioni “
E non è certo la sua unica denuncia. C'è voluto il suo tempo, ma con un paziente lavoro di ricerca tra le carte lasciate al museo salesiano di Punta Arenas, ho trovato altri suoi scritti. Impressionanti per la loro lucidità.
 I pastori bianchi hanno visto negli indiani il maggior ostacolo alla diffusione del loro patrimonio e hanno cacciato gli indios come bestie feroci.  Posso fare i nomi di coloro che hanno avvelenato grandi pezzi di carne con la stricnina per distribuirla poi alle varie tribù…
Qui come nel Far West, come nella Pampa o nel Chaco, il destino degli indiani è inesorabilmente segnato. Il pioniere avido di profitto contro l’inerme indigeno. Tutto sta finendo. Non sentirete più le vergini foreste sprofondare nella quiete delle notti lunari, le antiche leggende dell’eroe Kuanip, di suo figlio Red Mountain, e sua moglie, l’infelice e graziosa Oklta, trasformata in un pipistrello. Il Koliot (straniero) che veniva da terre lontane, affamato di ricchezza e padrone di armi letali, ha completato il suo lavoro disastroso, distruggendo per sempre la felicità di questa razza primitiva, che aveva vissuto per secoli, innocua e solitaria, nella parte più lontana del mondo
Ed è leggendo righe come queste che mi cresce l'orgoglio per essere diventato amico di un missionario così.

venerdì 7 dicembre 2012

Sono arrivato in Terra del Fuoco e ho scritto il primo capitolo...





Quel giorno che il capo degli anarchici doveva evadere dal bagno penale di Ushuaia,  Pascualino si alzò molto presto per andare a pigliare la sua barca.  In rada vide le navi che giacevano in una pigra bonaccia e pensò che il tempo non permetteva di navigare.
 Guardò l’orizzonte e a pochi nodi di distanza gli scogli con il mare squassato dai venti e dai marosi. Conosceva bene quei venti. Raffiche improvvise di un vento infernale sorto dal nulla, burrasche che si radunano in un batter d’occhio,  correnti furiose che trascinano senza troppi complimenti verso gli scogli della costa, chiamata non per caso, della Desolaciòn. Guardò il mare con rispetto ma decise di partire lo stesso. Così affondano le navi guidate da marinai inesperti-pensò- infilandosi il ruvido gorro di lana di guanaco e sciogliendo gli ormeggi.
Naviga vicinissimo alla costa,  sfiorando vertiginosi fronti di ghiaccio infilandosi tra i fiordi e scansando isole di ghiaccio vagabonde.  Sta attento a non  farsi notare quel giorno anche se naviga in una rotta solitaria dove gli unici incontri sono con colonie di foche e elefanti marini. Anche qualche balena sbuffa più in lontananza.
Navigare nello stretto di Magellano o nel canale di Beagle è difficile per chiunque. Scogli, secche e nebbie improvvise. Ma per Pasqualino è una sfida che si ripete ogni giorno che Dio mette in terra.
Lui non ha bisogno di mappe o di radar, gli basta guardare il sole, la luna e le stelle. Oppure inumidire un dito con la saliva per sentire la direzione del vento.

mercoledì 5 dicembre 2012

Ritorno in Patagonia





E così sono di nuovo in viaggio. E di nuovo mi sto dirigendo verso i luoghi che sempre di più sono diventati i miei “luoghi dell'anima”, la Patagonia e la Terra del Fuoco. Luoghi dove riesco a sentirmi a casa, benché in modo diverso che ad Arezzo con le persone a cui voglio bene. Luoghi che mi sono entrati nel sangue e che mi aiutano a restituirmi a me stesso.

Starò via almeno due mesi: un periodo molto lungo per una vacanza, ma direi giusto per
 un viaggio autentico, che come tale richiama un'esperienza umana, da coltivare, da fare crescere. So di essere fortunato: mi posso permettere di fare ciò che davvero mi piace.
Viaggio per inseguire nuove storie. Viaggio per continuare a scrivere libri di viaggio. E viaggiando cercherò di non perdermi. Qui, e sulle pagine della mia moleskine, cercherò di scrivere una sorta di diario di bordo.
Il viaggio di quest'anno è  sulle tracce dell'ultimo pirata della Patagonia. Spero di regalarvi un altro libro di viaggio.
Spero di non annoiarvi. Ma se non vi annoierò non sarà solo merito mio. In realtà in viaggi come questo succedono tante cose strane, irrilevanti o importanti, diversissime tra loro. Cose che comunque in qualsiasi parte del mondo hanno spesso un nesso che le lega l’una all’altra. E' un po' la storia del battito di farfalla a San Francisco che provoca un terremoto a Tokio. O viceversa..


RITORNO IN PATAGONIA