Ecco, sono arrivato da poche ore a Puerto Natales. Sono sceso dal Buses della compagnia Pacheco e mi avvio subito verso il Porto per trovare la statua di De Agostini con il capo degli indigeni Ona. Ho parlato di questa statua e della sua strana storia nel mio libro "Il Cacciatore di Ombre" e penso che sia un pò anche merito mio se, finalmente, è stata collocata in un posto bellissimo vicino al mare. Il momunento celebra l'amicizia di De Agostini con gli indios. Un genocidio dimenticato quello degli indios della Patagonia e della Terra del Fuoco.
La sorte
degli indios della Patagonia e della Terra del Fuoco era indissolubilmente legata a quella del guanaco,
il lama selvatico delle Ande.
I territori
della caccia si sono sovrapposti a quelli della leggenda e io percorro
liberamente gli uni e gli altri nel dipanarsi del mio racconto.
Quando
Alberto s’incontrò con gli ultimi Alacaluf si commosse per la loro miseria.
Ecco come ne parla in Ande Patagoniche:
Eccoci
giunti al loro accampamento. Piove dirottamente e noi non possiamo comprendere
come questi miseri selvaggi possano trascorrere la vita in questo ambiente. E’
costituito da poche capanne vicine le une alle altre. Hanno una forma
emisferica, formate con rami conficcati al suolo e convergenti al centro dove
rimane uno spazio vuoto per l’uscita del fumo. Sopra questa rozza armatura è
disteso uno strato di pelli di foca. Nel centro della capanna un fuoco sempre
acceso. Ovunque ammucchiati i residui della loro alimentazione consistenti in
gran parte in conchiglie di cozze e patelle, ossi di uccelli e qualche tibia e
cranio di lontra. Come si vestono? Fino a pochi anni fa il loro vestito era una
pelle grande di lontra o di guanaco che portavano nella schiena e una piccola intorno alle reni.
Ora invece
si coprono con vecchi stracci che acquistano dai loberos, (cacciatori di
foche) o abiti che prendono in regalo dai passeggeri delle navi.
Bello
questo racconto, ho sempre pensato a De Agostini anche come a un discreto
scrittore.
Uomo di
poche parole, per certi versi uomo solitario come le vette delle sue montagne,
nelle parole che mette nella carta è pervaso da una sensibilità commossa, parla
di uomini con le loro sofferenze, di una natura bella ma anche terrificante.
Mi sono
domandato spesso, in questo mio errare per i villaggi scomparsi, in questi
colloqui immaginari con le ombre degli indiani, se De Agostini fosse un
combattente, magari senza spada, o
soltanto un testimone del genocidio degli indiani.
Perché
nessuno ha raccontato del suo impegno nel diritto alla vita e all’esistenza
degli indios?
Domanda
imbarazzante che però ha bisogno di una risposta.
Alberto
parla spesso nei suoi scritti della condizione degli indios e prende posizione
a favore delle tribù indigene che andavano via via scomparendo sotto la
persecuzione dei bianchi. Aveva preso a
cuore il problema e non sopportava che tutto fosse smarrito dentro una
filosofia di neutralità che compiangeva gli indiani ma non condannava i coloni
e i cacciatori bianchi.
Durante le
sue esplorazioni, ma anche nella semplice ricerca delle anime da portare al
cristianesimo, Alberto aveva stretto dei rapporti di vera amicizia con gli
Onas, gli Yamanas e gli Alacalufe nella Terra del Fuoco, ma anche con i
Tehuelches in Patagonia.
Avvertiva
che gli stessi missionari, compreso lui stesso,
pur nelle migliori intenzioni potevano disturbare l’equilibrio secolare
del rapporto degli uomini con la natura.
E non era
facile conciliare queste convinzione con la responsabilità del “pastore di
anime” che doveva occuparsi anche dei coloni, dei cacciatori e dei minatori, di
tutti coloro che arrivavano in quelle terre in cerca di fortuna.
Tuttavia
non gli mancò mai il coraggio di schierarsi, di prendere le parti dei deboli e
di denunciare.
E’ stata
una scoperta anche per me, questo piglio di combattente. E' proprio così: di
coraggio De Agostini dimostrò di averne in quelle circostanze difficili.
In un libro
che scrisse dopo i primi anni in Punta Arenas, arrivò perfino ad accusare il
governatore di Punta Arenas, Manuel Senoret, di genocidio nei confronti degli
indiani.
“La responsabilità di queste guerre di
sterminio degli Onas, poggia in larga misura sul Governatore Senoret…Per
tutelare gli interessi di alcuni proprietari e di opporsi anche ai missionari
salesiani, che avrebbero preferito espellere, dall’isola di Dawson per
riappropriarsi di foreste e pascoli, favorì la più indegna delle persecuzioni “
E non è
certo la sua unica denuncia. C'è voluto il suo tempo, ma con un paziente lavoro
di ricerca tra le carte lasciate al museo salesiano di Punta Arenas, ho trovato
altri suoi scritti. Impressionanti per la loro lucidità.
I pastori bianchi hanno visto negli indiani
il maggior ostacolo alla diffusione del loro patrimonio e hanno cacciato gli
indios come bestie feroci. Posso fare i
nomi di coloro che hanno avvelenato grandi pezzi di carne con la stricnina per
distribuirla poi alle varie tribù…
Qui come
nel Far West, come nella Pampa o nel Chaco, il destino degli indiani è
inesorabilmente segnato. Il pioniere avido di profitto contro l’inerme
indigeno. Tutto sta finendo. Non sentirete più le vergini foreste sprofondare
nella quiete delle notti lunari, le antiche leggende dell’eroe Kuanip, di suo
figlio Red Mountain, e sua moglie, l’infelice e graziosa Oklta, trasformata in
un pipistrello. Il Koliot (straniero) che veniva da terre lontane, affamato di
ricchezza e padrone di armi letali, ha completato il suo lavoro disastroso,
distruggendo per sempre la felicità di questa razza primitiva, che aveva
vissuto per secoli, innocua e solitaria, nella parte più lontana del mondo
Ed è
leggendo righe come queste che mi cresce l'orgoglio per essere diventato amico
di un missionario così.
Ricordo bene la storia di quella statua che lessi nel tuo libro. Sono felice che finalmente sia stata eretta. E, adesso che la vedo, anche di quanto sia bella!
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