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venerdì 26 novembre 2010

Vieni via con me


E' dunque, è questa la prima cosa che mi è successa giorni fa, pochi attimi dopo che il mio aereo era finalmente atterrato a Buenos Aires. Il viaggio era stato lungo, ma ero più che contento. Avevo appena rimesso piedi in quella che da tanti anni è un paese che ormai sento mio, la mia seconda casa, per così dire.
Sono salito su un taxi e quasi non ho avuto tempo di indicare la mia destinazione. E' stato l'autista ad aprire subito bocca, dopo che mi ha riconosciuto come italiano. Ha preso e mi ha domandato, con un mezzo sorriso:
“Allora come va in Italia? Come va la nipote di Mubarak?”.
 Poche volte ho sentito cosi chiaramente che il mio paese  non apparteneva a nessun luogo. E’ stato difficile per me raccontare al tassista qualcosa di un paese  che è mio e che pure ha una storia che rimane oggi irrimediabilmente sospesa in un'atmosfera di ridicolo e di volgarità.
E' stato senz'altro più facile, e più piacevole, guardare la città che scorreva sotto i miei occhi. Quella città che ora vorrei cominciare a raccontare a tutti voi: e chissà che non aiuti a capire meglio anche la vita nella nostra Arezzo.
 Buenos Aires è stata fondata sulle sponde di un immenso fiume dalle acque marroni. Del colore del deserto, secondo Jorge Luis Borges. 
A metà del Novecento, lo splendore di Buenos Aires mozzava il fiato a ogni viaggiatore.
Parte di quella bellezza si conserva ancora. Appena il viaggiatore alza lo sguardo per le strade del centro, scopre palazzi e cupole con fregi bellissimi.
La città è ancora maestosa a partire dal secondo e terzo piano degli edifici, ma all’altezza della strada si vedono le sue rovine, come se lo splendore del passato fosse sospeso in alto rifiutandosi di scendere o sparire.
E' nelle strade  la storia di questo paese. Il tango, che era caduto in decadenza negli anni  della dittatura, è di nuovo di moda tra i giovani. Ci sono milonghe tutti i  giorni nei grandi spazi culturali della città. Dalla Confiteria Ideal al Torquato Tasso.
 Spesso si sentono dei terzetti amatoriali che suonano per la  strada o nei tunnel della gallerie che si aprono a delta sotto l’obelisco di plaza della Repubblica , all’incrocio tra la Avenida de Nueve de Luglio e la calle di Corrientes.
 All’ingresso di una di queste gallerie c’è una fila di poltrone con i poggiapiedi destinate ai pochi passanti che si fanno lucidare le  scarpe.
 I turisti vanno a vedere il maestoso Teatro Colon , appena restaurato,  o il Museo Nazionale. Qui esiste la più bella collezione di un grande pittore della Buenos Aires della grande emigrazione italiana della fine dell’Ottocento.
Sono particolarmente straordinari i ritratti delle prostitute e dei mendicanti.
 Ma c'è anche chi visita il Centro Culturale della Recoleta e, accanto, il bellissimo cimitero con la tomba di Evita.
 Personalmente, dopo le giornate passate, nelle biblioteche e negli archivi alla ricerca del mio missionario De Agostini, faccio il giro dei caffè dell’Avenida de Mayo e della calle Corrientes , dove nessuno ritira la tazzina fino a quando il cliente non si è alzato dal tavolino al contrario di  quanto succede in Italia . Con il caffè arriva anche l’acqua al seltz e un piccolo dolce a forma di media luna.
 In pochi altri luoghi posso scrivere pagine del mio libro con tanta concentrazione come qui. Non capita mai che qualcuno ti interrompa.
Tutto quello che c’è intorno sembra reale, forse anche troppo, e quando ci si siede in questi caffè è meno difficile capire perché gli argentini hanno avuto Borges e, aggiungo io, anche Osvaldo Soriano.
Storie fantastiche e inverosimili che raccontano di una realtà cosi vitale.
Arezzo mi sembra così lontana. Eppure so che continuerò a coltivarla, nei miei sogni di uomo che ancora una volta ha avuto la fortuna di viaggiare fino all'altro lato del pianeta.




lunedì 1 novembre 2010

Elogio della bicicletta




Sono tornato da Amsterdam e la cosa che già mi manca è la possibilità di prendere la bicicletta e scoprire la città in ogni suo angolo e stradina. Quasi tutte le città italiane, piccole e grandi, (l'unica vera eccezione sono Venezia e Ferrara) sono da anni ridotte a infernali bolge motoristiche, per metà sterminati depositi di ferraglia maleodorante e per l'altra metà caotiche piste motoristiche.
La mia città non sfugge a questo destino.
Gli uomini sono animali molto adattabili e così hanno finito per adattarsi anche a questo stile di vita, che spesso chiamano invivibile ma contro il quale non fanno assolutamente nulla.
In questa situazione di assoluta dittatura del motore gli spazi per pedoni e ciclisti sono ridotti al minimo. Ad Arezzo è un minimo molto prossimo allo zero, soprattutto a confronto con altre città dove piste ciclabili e itinerari pedonali sollevano un po' la situazione.
Così, anche ascoltando le esternazioni di Marchionne, mi è venuta naturale questa riflessione.
La parola regime è in genere usata per definire un sistema politico che non ammette alternative a se stesso, e che anzi tende a eliminare ogni possibile alternativa. Dunque regime si intende nel senso di dittatura o di sistema totalitario, termini che anche questi si riferiscono a sistemi che non ammettono alternative a se stessi.
In questo senso l'egemonia dell'automobile (e del motorino suo stretto parente) costituisce un vero e proprio regime politico-economico i cui due pilastri economici sono l'industria automobilistica e quella petrolifera; un regime che si applica ventiquattro ore su ventiquattro su ogni singolo chilometro quadrato del territorio, che esige e in buona parte ottiene il consenso assoluto della popolazione nonché dei mass-media.
Non è proprio questo il profilo di un regime?
La riprova di questa situazione la si è avuta in questi ultimi mesi: molte industrie automobilistiche, ridotte sull'orlo del fallimento, hanno lanciato una massiccia campagna mediatica tesa a sostenere che l'industria dell'auto, insieme a quelle a essa collegate (il cosiddetto indotto), è un pilastro dell'economia. Un pilastro di cui non se ne può fare a meno, perché se crollasse trascinerebbe con sé l'intera economia.
Regime che a me sembra a un tumore maligno, che una volta installatosi in un organismo si estende a tal punto da diventare inoperabile, nel senso che un tentativo chirurgico di asportazione rischierebbe di uccidere l'intero organismo.
Quando l'industria auto-moto si ritrova sull'orlo del fallimento usa questi argomenti per ottenere aiuti e sussidi statali. In questo modo sopravvive e cresce ulteriormente, proprio come il tumore maligno che per sopravvivere e crescere ancora pretende per sé tutte le risorse dell'organismo.
Chissà perché mi sono perso in questa riflessione. Forse potevo fermarmi alla semplice richiesta all’amministrazione della mia città  di rimettere mano al progetto delle piste ciclabili.
Già, perché è stato messo nel cassetto e nulla si è fatto?
L’ultimo obbrobrio è stata la sistemazione di Via Vittorio Veneto. Un esempio di strada cittadina, con un arredo urbano fatto per i pedoni e i ciclisti. Peccato che si siano dimenticati le piste ciclabili.