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lunedì 1 novembre 2010

Elogio della bicicletta




Sono tornato da Amsterdam e la cosa che già mi manca è la possibilità di prendere la bicicletta e scoprire la città in ogni suo angolo e stradina. Quasi tutte le città italiane, piccole e grandi, (l'unica vera eccezione sono Venezia e Ferrara) sono da anni ridotte a infernali bolge motoristiche, per metà sterminati depositi di ferraglia maleodorante e per l'altra metà caotiche piste motoristiche.
La mia città non sfugge a questo destino.
Gli uomini sono animali molto adattabili e così hanno finito per adattarsi anche a questo stile di vita, che spesso chiamano invivibile ma contro il quale non fanno assolutamente nulla.
In questa situazione di assoluta dittatura del motore gli spazi per pedoni e ciclisti sono ridotti al minimo. Ad Arezzo è un minimo molto prossimo allo zero, soprattutto a confronto con altre città dove piste ciclabili e itinerari pedonali sollevano un po' la situazione.
Così, anche ascoltando le esternazioni di Marchionne, mi è venuta naturale questa riflessione.
La parola regime è in genere usata per definire un sistema politico che non ammette alternative a se stesso, e che anzi tende a eliminare ogni possibile alternativa. Dunque regime si intende nel senso di dittatura o di sistema totalitario, termini che anche questi si riferiscono a sistemi che non ammettono alternative a se stessi.
In questo senso l'egemonia dell'automobile (e del motorino suo stretto parente) costituisce un vero e proprio regime politico-economico i cui due pilastri economici sono l'industria automobilistica e quella petrolifera; un regime che si applica ventiquattro ore su ventiquattro su ogni singolo chilometro quadrato del territorio, che esige e in buona parte ottiene il consenso assoluto della popolazione nonché dei mass-media.
Non è proprio questo il profilo di un regime?
La riprova di questa situazione la si è avuta in questi ultimi mesi: molte industrie automobilistiche, ridotte sull'orlo del fallimento, hanno lanciato una massiccia campagna mediatica tesa a sostenere che l'industria dell'auto, insieme a quelle a essa collegate (il cosiddetto indotto), è un pilastro dell'economia. Un pilastro di cui non se ne può fare a meno, perché se crollasse trascinerebbe con sé l'intera economia.
Regime che a me sembra a un tumore maligno, che una volta installatosi in un organismo si estende a tal punto da diventare inoperabile, nel senso che un tentativo chirurgico di asportazione rischierebbe di uccidere l'intero organismo.
Quando l'industria auto-moto si ritrova sull'orlo del fallimento usa questi argomenti per ottenere aiuti e sussidi statali. In questo modo sopravvive e cresce ulteriormente, proprio come il tumore maligno che per sopravvivere e crescere ancora pretende per sé tutte le risorse dell'organismo.
Chissà perché mi sono perso in questa riflessione. Forse potevo fermarmi alla semplice richiesta all’amministrazione della mia città  di rimettere mano al progetto delle piste ciclabili.
Già, perché è stato messo nel cassetto e nulla si è fatto?
L’ultimo obbrobrio è stata la sistemazione di Via Vittorio Veneto. Un esempio di strada cittadina, con un arredo urbano fatto per i pedoni e i ciclisti. Peccato che si siano dimenticati le piste ciclabili.


1 commento:

  1. mia figlia e famiglia vivono ad amsterdam e la bicicletta è la loro appendice naturale, devo dire che la trovo una città a misura d'uomo e di bambino, prova ad andare in bici a roma, a parte i sette colli rischi di essere sbattuto a terra ogni due per tre

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