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mercoledì 1 aprile 2009

Il volto della follia


AD AREZZO MEMORIA E ATTUALITA’ DI FRANCO BASAGLIA


Vent’anni fa, nel 1989 cadeva il Muro di Berlino e quest’anno si celebra l’anniversario di questo evento storico. Sono passati invece trent’anni dalla caduta di altri muri di casa nostra: i muri dei manicomi. E’ infatti del 1979 la prima applicazione della legge 180 che porta il nome di Franco Basaglia.
Pensavo proprio l’altro giorno a questo anniversario che per me segna malgrado tutto un grande traguardo di civiltà. Ci pensavo l’altra mattina, ascoltando a Radio Rai un programma che prendeva spunto da alcuni terribili fatti di cronaca che hanno visto per protagonisti persone con evidenti disturbi psichici ma abbandonate a se stesso. E inutile dire che anche su questo terreno si respira un’aria sempre più brutta in Italia. In alcuni messaggi pervenuti in redazione non c’era solo voglia di riapertura di manicomi. Peggio, ho sentito evocare la pena di morte e anche la tentazione dell’eugenetica… E chissà, forse le terribili stragi avvenute proprio nello stesso tempo in paesi come l’Alabama e la Germania hanno perlomeno sottratto il terreno alle peggiori strumentalizzazioni politiche.
Basaglia, insomma. Un grande convegno che si terrà ad Arezzo dal 26 al 28 Marzo ricorderà questa straordinaria figura di psichiatra e con lui la feconda stagione della chiusura dei manicomi e dell’affermarsi di una nuova pratica e cultura della lotta all’emarginazione. E non possiamo dimenticare che proprio nella nostra città c’è stata una delle esperienze più significative del nostro paese, con un valore etico, scientifico e anche politico, universalmente riconosciuto.
Ho avuto modo di conoscere Basaglia e Agostino Pirella, direttore storico del manicomio di Arezzo, nel breve periodo in cui sono stato presidente della provincia di Arezzo. La peculiarità dell’esperienza aretina, è importante sottolinearlo, fu la capacità di legare il progetto di chiusura dell’ospedale psichiatrico alla realizzazione dei servizi territoriali di igiene mentale che prefigurarono quelli che poi furono previsti dal servizio sanitario nazionale. Fu una stagione straordinaria che registrò l’impegno di tutti gli operatori, dagli infermieri ai medici, e la partecipazione dell’intera città.
Ricordo le assemblee in cui gli stessi degenti ponevano a tutti noi le domande scomode e terribili sulla realtà di quelle istituzioni e su quell’universo concentrazionario. C’era speranza, c’era passione, in quelle assemblee. C’era la consapevolezza condivisa di stare scrivendo una bella pagina di civiltà.
Cosi il padre della legge 180 ricorda quell’esperienza: “La cosa importante è che abbiamo dimostrato che l’impossibilità diventa possibile. Dieci, quindici, vent’anni fa (siamo nel 1979) era impossibile pensare che un manicomio potesse essere distrutto. Magari i manicomi torneranno ad essere chiusi e più chiusi di prima, io non lo so, ma in ogni modo abbiamo dimostrato che si può assistere la persona folle in un altro modo, e la testimonianza è fondamentale”
Oggi la legge 180, nonostante i tentativi di modificarla, non è una legge datata, smentita dai fatti, superata dalle evidenze scientifiche. Oggi dimostra ancora la sua attualità e semmai chiede di essere attuata fino in fondo, perché siano presenti sul territorio e dotate di personale e risorse adeguate tutte le strutture che, in alternativa al manicomio, devono farsi carico del disagio mentale.
La stessa Unione Europea, in un recente atto di indirizzo, ha recepito interamente i principi ispiratori e i contenuti di questa grande riforma, raccomandando a tutti i paesi membri di andare verso un progressivo abbandono delle istituzioni psichiatriche di tipo concentrazionario per andare ad una organizzazione dei servizi territoriali.
Ben venga quindi il convegno di Arezzo. Non una celebrazione ma un impegno concreto per il futuro. Non credo che i promotori dell’iniziativa vogliano fare un dogma della 180, però se cambiare è sempre possibile, non si può permettere che, in un clima di restaurazione, siano cancellate conquiste importanti. Che, in altre parole, siano riproposte strutture residenziali per i cosi detti cronici, disgiunte da un programma riabilitativo e col solo obiettivo di sottrarre i pazienti all’ambiente sociale. Ovvero, di rimuovere il problema nascondendolo, come si fa con la polvere sotto il tappeto.
Certo non possiamo dimenticare che l’Italia è fatta di tante realtà diverse. L’eccezionale esperienza dei servizi territoriali di igiene mentale, le case famiglia gestite dagli ex degenti, non sono un patrimonio esteso all’intero paese. E spesso le famiglie sono sole di fronte al disagio mentale. Vero, tutto vero. Ma i problemi si risolvono solo guardando avanti, con soluzioni per il futuro, non con nostalgie per il passato, per di più troppo comode.


(tito barbini, il corriere di arezzo, sabato 28 marzo)

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